giovedì 22 novembre 2012

Ciò che seduce è ciò che contiene un grande mistero.

Ieri, ho sentito dire, per l'ennesima volta, peraltro da persona colta e intelligente, che il verbo sedurre, che deriva dal latino seducere, significherebbe, letteralmente, "condurre a sé". Non è vero, ma in quel momento non ho avuto il coraggio di smentire il mio interlocutore per non far fare una figura barbina a lui e non passare io per saputella.
Una decina di anni fa, per l'esame di Filosofia del linguaggio, mi sono ritrovata a scrivere una "tesina" sulla parola seduzione. Ed ecco qualche riga di quella tesina, tanto per mettere i puntini sulle I. Se poi volete leggerla tutta, chiedetemela, e ve la mando via mail.

Diciamo subito che in latino il verbo seduco, is, duxi, ductum, ere non significa, appunto, come potrebbe sembrare a prima vista, "condurre a sé", ma deriva da se(d)- ("a parte", "via") e ducere  ("condurre"), e quindi significa "condurre in disparte, separare, dividere": "sviare". Solo nel latino tardo, in particolare in quello ecclesiastico, il termine passa a indicare l'azione del "sedurre, corrompere" o, più in generale, "indurre altri all'errore o alla colpa", riferita il più delle volte al demonio, che è detto spesso "il seduttore". La sua opera per indurre al male, è qualificata come seduzione: viene detta seduzione l'azione per indurre all'idolatria e all'impurità.  Per la religione rappresenta quindi la strategia del demonio. Sedurre nel significato di "circuire una donna" e "attrarre, avvincere" è il fr. séduire (1538 nella prima accezione, 1698 nella seconda); seduzione nel significato di "fascino, malìa" è il fr. séduction (1734). La parola seduzione è dunque andata incontro, nel corso dei secoli, a una serie di slittamenti semantici.


(...) La seduzione può riferirsi tanto agli oggetti quanto alle persone. In entrambi i casi implica l'incanto, la magia: ciò che seduce rimanda sempre a qualcosa che è altro e sta dietro di esso, a un segreto, che si sottrae in continuazione. Seduttivo è ciò che non si riesce a percepire e a decifrare: «ciò che seduce è ciò che contiene un grande segreto», scriveva Jean Baudrillard.
Del resto anche il significato originario di "condurre in disparte" evoca la ricerca di una confidenza segreta e di complicità. In questa accezione, la seduzione deve venir accuratamente distinta dalla fascinazione (anche se, poi, nell'uso corrente, i due termini vengono spesso sovrapposti o usati come sinonimi): questa è l'arresto davanti a una superficie impenetrabile, è tutto ciò che è "portato alla visibilità": tutto ciò che non contiene un segreto. La seduzione, viceversa, inizia proprio là dove inizia il segreto: "là dove la superficie del visibile, del detto, s'incurva e s'inabissa in un vortice che risucchia il soggetto (spettatore o lettore) verso qualcosa che è - e, si badi, deve rimanere - nascosto".  Il vero segreto è quello che resta tale, quello che non potrà/dovrà mai essere rivelato. La seduzione erotica, ad esempio, ha come fine la sessualità e perciò dura fintantoché non si toglie nel godimento: il tempo della seduzione è questo ritardo, questo intervallo che differisce la sessualità. La fine della seduzione coincide con il suo fine: il realizzarsi del rapporto amoroso è effettivamente vissuto come successo della seduzione, ma in realtà, una volta posseduto, l'oggetto - prima idealizzato - è disprezzato e deludente. L'oggetto di seduzione deve essere inarrivabile, cioè avvicinato al massimo, ma mai troppo, pena la sua totale perdita e il totale fallimento delle intenzioni narcisistiche del seduttore.

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