martedì 27 febbraio 2007

Venticinque. Luna e gnàc.


Stasera mi sento come Marcovaldo nel racconto Luna e Gnac. Il cantiere di fronte a casa mia soffre di narcisismo. Deve farsi vedere. Ha bisogno di affermare la sua esistenza, di giorno, di notte, sempre, casomai ce ne dimenticassimo. Non so cosa voglia dire esattamente il faro che hanno piazzato in cima alla gru. So che illumina tutto il quartiere.
Io, per sbaglio, ho dimenticato di abbassare le tapparelle e sulla parete sono comparsi due riquadri giallastri. L'ombra cinese della gru invade i miei sogni come un mostro di metallo che si sfracella nel mio letto. Mi sveglio di soprassalto. Da lontano arriva il rumore di un antifurto. Chissà se riuscirò a riaddormentarmi. Di certo non vedrò le stelle.

domenica 25 febbraio 2007

Il fascino dei cantieri.

Il fascino dei cantieri, dei terreni incolti in attesa ha sedotto cineasti, romanzieri, poeti. Oggi quel fascino dipende, mi sembra, dal suo anacronismo. Contro l'evidenza, esso mette in scena l'incertezza. Contro il presente, sottolinea la presenza ancora palpabile di un passato perduto e al tempo stesso l'imminenza incerta di quanto può accadere: la possibilità di un istante raro, fragile, effimero, che si sottrae all'arroganza del presente e all'evidenza del 'già qui' (...) I cantieri, eventualmente a costo di un'illusione, sono spazi poetici nel senso etimologico della parola: vi si può fare qualcosa; la loro incompiutezza contiene una promessa.
Marc Augé, Rovine e macerie

venerdì 23 febbraio 2007

Ventiquattro. Cantieri veri o presunti.


La città è piena di cantieri. Dovunque mi giro vedo transenne, ostacoli, gru, divieti, ferite aperte nell’asfalto.
Sono belli i cantieri, lasciano spazio all’immaginazione, creano degli ostacoli nei sentieri di tutti i giorni. Pensi a cosa verrà fuori da quelle gru e montagne di terra e segnaletica e strisce bianche e rosse. Pensi che un giorno tutta quella polvere scomparirà e al suo posto si ergerà una casa, un giardino, una nuova strada, qualcosa che la tua mente riesca a classificare e utilizzare.
Il cantiere ti dice: alt! fermati! devi prendere una strada alternativa, di qui non puoi passare, stiamo lavorando anche per te, sciò! Il cantiere ti invita a sbirciare dentro, dietro le grate, stimola la curiosità, non ti fa stare più nella pelle.
Ma i cantieri non possono durare all’infinito. Da qualche parte devono portare. Se dietro ad un cantiere non c’è un progetto, uno scopo, una scadenza, allora è soltanto tutto un rimestare la terra sotto l’asfalto, come un chirurgo che apre un malato per vedere cosa ha dentro e poi lo richiude perché non c’è più niente da fare. Bisogna gridarlo a voce alta, se non c’è più niente da fare. Bisogna smettere, e passare ad altro.
C’è qualcuno che si arrende all’idea del cantiere, qualcuno che ama restarci all’infinito, che preferisce non finirle mai le cose, così non deve mostrare il proprio lavoro, ricevere critiche (ma nemmeno elogi!), giustificarsi, spiegare. Una specie di cantiere-limbo accidioso, di chi non vuole prendere decisioni, posizione. Di chi non vuole fare. Di chi fa finta di fare.
Oggi mi sono stufata. Ho scavalcato le transenne e sono andata a vedere cosa stavano facendo. Ci sono rimasta male. Nel cantiere non c’era nessuno.

venerdì 16 febbraio 2007

Ventitre. L'acqua del vicino è sempre più azzurra.


L’acqua non è tutta uguale. E non è solo bevendola che te ne accorgi. La nostra acqua è buona, si beve, non ha odori particolari, eppure manca di qualcosa. E’ un’acqua povera, dura, senza colore. E’ un’acqua che non riporta in vita. Siamo noi a decidere se deve essere calda o fredda, con una stupida rotazione del polso. E non è la lingua, non è il naso ad accorgersi che quest’acqua non va bene. E’ il corpo che reclama i sulfobatteri, i vapori, le bollicine piccole e quelle enormi, il calore che non puoi regolare.
Ma se avessimo quest'acqua tutti i giorni, siamo proprio sicuri di essere immuni dal virus dell'assuefazione? E che dopo un po' non ci sembrerebbe più così speciale?