venerdì 28 dicembre 2007

Quarantadue. Apprezzo lo sforzo.

Apprezzo lo sforzo di quel qualcuno che da lassù continua a mandarmi surrogati della neve, come semplice dichiarazione di impotenza, come a dire: questo è tutto quello che posso offrirti, tanta tanta nebbia, un massaggio al borotalco, la compagnia di una pecorella, e un po' di farina per tenere insieme i tuoi istinti, lo zucchero a velo di una bellissima vicina distratta, ma la neve proprio no, mi spiace, l'abbiamo finita tutta due anni fa. Apprezzo, e ringrazio, ma non sono una che si accontenta di surrogati.

giovedì 27 dicembre 2007

Quarantuno. Puf.

Con questa benedetta neve che non si decide a scendere, da un po' di mattine mi sveglio immersa in un biancore fitto e dolciastro e mi illudo osservando il tetto delle auto che sia finalmente arrivata ma niente, è solo la soffice ovatta di nebbia, e mi dico, ma allora cosa è Natale a fare, e lo dice una che la nebbia la adora e che pensa anche: meglio che niente. Meglio che niente: ma se voglio godermi quel mondo indefinito di suoni attutiti e persone che non si distinguono, devo uscire presto presto o tardi tardi e invece va sempre a finire che mi ritrovo a metà giornata con un cielo che non sa se essere grigio o di qualche altro colore, la nebbia è sparita chissà dove e spuntano ovunque palazzi e strade grigie e luci al neon e luminarie ansimanti. Meglio stare in casa, allora, schiena appoggiata al calorifero, tisana in grembo, libro in mano (l'elenco è lungo e basta far finta di essere chiusi in un bunker senza possibilità d'uscita, sullo sfondo di qualche apocalittica guerra del futuro, e giocare alla sopravvivenza, anche con i viveri). E mentre sono lì, sento puf!, guardo fuori dalla finestra e di colpo vedo scendere bianchi fiocchi leggeri. Neve, neve! Finalmente! Forse lassù hanno cambiato idea, sicuramente quaggiù non bisogna perdere tempo: in quattro e quattr'otto mi preparo ad uscire (perché la neve è bella quando è fresca). Ma ecco che sulla soglia di casa compare la vicina del piano di sopra. Bianca. Mi chiede scusa, per avermi imbrattato il balcone: le è scappata la mano con lo zucchero a velo del pandoro.

(Dimenticavo. Oggi mi è arrivata una mail spam da una certa Maria Bianca Farina. Non è un segno?)

mercoledì 26 dicembre 2007

Quaranta. La pegura la canta.

Trenta quaranta la pegura la canta
La canta sul pulée
Ciama ciama el pegurèe,
il pegurèe l’è andà a Ruma
ciama ciama la padrùna
la padrùna; la padrùna l’è nela stala
ciama ciama la cavala,
la cavala l’è in giarden,
ciama ciama Giuvanen
Giuvanen l’è tècc
Tiral giò per i urècc,
i urècc ghià malàa
al purterem a l’uspedàa
l’uspedàa l’è saràa sù
al trem denter nel partasù.

lunedì 3 dicembre 2007

Trentanove. La rivoluzione silenziosa.

L'importante è non farsi sentire. Non farsi vedere. Scardinare il sistema dall'interno. Si sa che gli omini del comune non sanno mettere un sanpietrino accanto all'altro, dopo pochi giorni il piccolo uovo di sasso rotola via. Si sa che le piastrelle, di qualsiasi materiale siano, dopo un po' si ondulano tutte, come San Marco a Venezia, per le radici che spingono da sotto, o per i piedi dei passanti che strisciano e calciano lontano i pensieri del vivere quotidiano. O forse perché i bimbi hanno poco spazio per giocare a biglie nei riquadri degli alberi, e le buche non si scavano nel cemento (ma anche gli alberi non dovrebbero stare sui marciapiedi!).
E via: via una mattonella dopo l'altra si fanno piste di biglie, bigliodromi, e saltelli e deviazioni e le gare diventano emozionanti. L'importante è non dare nell'occhio: una mattonella dopo l'altra, lentamente, tutti i giorni, come il galeotto che scava nella cella il suo buco per evadere. L'importante è non farsi notare: lo sanno bene gli uccellini, che la gente di città non guarda in alto. Così, ogni tanto, perché no? ai cittadini un po' di cacca in testa non può far male, pensano. Una protesta innocua, lascia il segno, ma non fa male.