mercoledì 24 ottobre 2007

Trentaquattro. E' arrivato il circo degli elefanti.

"E' arrivato il circo degli elefanti". All'uscita da scuola, la prima cosa che potevi notare oggi era quell'immenso cartello pubblicitario, che diceva proprio così. Perché no? mi sono detta. L'ultima volta che sono stata a un circo mi hanno piazzato in braccio una scimmia e mi hanno scattato una fotografia. Ricordo ancora la mano rugosa della scimmia, molto più grande della mia. Un elefante, mi sono detta, non potranno mai e poi mai mettermelo in braccio per fare una foto. Ho chiesto alla tribù chi voleva accompagnarmi ma nessuno voleva rischiare la pelle. Non sapevo che i gatti (e tantomeno i nani da giardino) avessero paura degli elefanti, e allora ci sono andata da sola.
La tenda era stata montata a dieci chilometri di bici lontano da casa, in una zona di periferia trafficata soltanto da camion. Ci ho messo un po' ad individuarla, perché aveva lo stesso colorino grigio dei capannoni che le stavano intorno. Un grigio slavato di pioggia, maculato di perdite d'acqua. Dentro faceva freddo. L'elefante era uno solo, e molto triste. Non c'erano clown, né tigri, né trapezisti e tantomeno scimmie. "Questo è il circo degli elefanti" ha precisato la maschera all'ingresso. "E dove sono?" le ho chiesto. "Quello è Donut; la sua compagna, a dir la verità, sono giorni che non la troviamo. E' scappata". E poi mi ha fatto giurare di non essere una giornalista, e di non dirlo a nessuno, che sennò erano casini, e con l'asl, e le autorità. Donut sapeva fare solo una cosa: stare in equilibrio su una zampa sola. L'ho applaudito. Gli veniva proprio bene.

lunedì 22 ottobre 2007

Trentatre. Temperature andine.

Mi sono accorta che è arrivato l'autunno non solo per le labbra screpolate, il torcicollo, la velocità con cui i fazzoletti di carta volano dal loro involucro dritti nella spazzatura ma perché la tana si è improvvisamente popolata di strane creature.
Le mosche. Ne uccidi due ne compaiono quattro. Ognuna ha un punto del soffitto preferito. Ci stazionano per ore senza muoversi. Sembra un invito all'omicidio, io faccio finta di niente, perché così è troppo facile. Preferisco immortalarle quando mi danno noia, cioè sempre quando sto lavorando. Le piante. Hanno fatto di tutto per supplicarmi a non aprire più le finestre e qualcuna si è finta morta pur di farsi portare dentro. Per loro, qui si sta bene, fa caldo, mi sembra di capire. Almeno è riparato. A me si gelano mani e piedi, ossa e cervello. Mi sembra di stare in un igloo. Non so più chi ha ragione. Forse non mi accontento abbastanza. Sono abituata troppo bene.
Poi è arrivato lui, il cugino di Mucomorìs, il gatto andino, detto anche Titi. E' un misto tra un gatto, un procione e un tigrotto. E' in via di estinzione. Che faccio, lo ospito? Ma non è che poi mi tocca abbassare ancora la temperatura? Mi risulta che lui sia abituato a vivere tra i 3.000 e i 5.000 metri sulle Ande. E se si estingue?

lunedì 8 ottobre 2007

Silenzi/10.


A libro abierto, inserito originariamente da Ninio Confuccio.

Quando apri un silenzio di carta, qualcuno ti parla da lontano, colorando le pareti bianche della tua immaginazione con cammelli e balene, formiche rosse e pesciolini d'oro, gatti spazzacamino e nani bastardi.

martedì 2 ottobre 2007

Passato, presente e futuro


Il passato è legato al ricordo, il presente è prosaico e ateo, il futuro è il regno della poesia, delle attese, delle speranze, delle possibilità e della casualità. Ma sull’animo il futuro agisce con una forza infinitamente superiore a quella del passato; il passato lascia indietro soltanto la quieta sensazione del ricordo, mentre il futuro ci sovrasta con gli orrori dell’inferno o le beatitudini del paradiso. Gli dei che emergono dalle tombe non sono quindi che ombre di dei; gli dei veri e viventi, i signori della pioggia e del sole, del lampo e del tuono, della vita e della morte, del cielo e dell’inferno devono la loro esistenza soltanto alle potenze del timore e della speranza, che comandano alla vita e alla morte e che illuminano l’oscuro abisso del futuro con enti della rappresentazione. Il presente è oltremodo prosaico, concluso, determinato, immutevole, compiuto, esclusivo; nel presente la rappresentazione coincide con la realtà; in esso gli dei non hanno quindi posto né campo d’azione; il presente è ateo. Il futuro è invece il regno della poesia, il regno della possibilità e della casualità infinita. L. Feuerbach, L’essenza della religione