martedì 27 novembre 2012

Tanti auguri (gluten free) scricciolina!

Oggi è il terzo compleanno di Emma, e io non voglio sembrare melensa ma un po' mi commuovo al pensiero che mi è capitata davvero la migliore nipote al mondo (lo so che dicono tutti così, io lo penso davvero...). Per lei è stato un anno impegnativo, ha tolto il ciuccio, il pannolino, le è arrivata una sorellina, ha scoperto di essere celiaca, ha smesso di mangiare pane e focaccia e ha cominciato ad andare alla scuola materna. Ma ha sempre affrontato tutto con grande dignità e grandi sorrisi.
Ho deciso che quest'anno le regaleremo i mitici chiodini, sperando che le piacciano, per restituirle un po' di allegria e di colore con cui ha innaffiato le nostre vite in questi tre anni e perché sappiamo che scatenerà la sua immaginazione, sperando che nel frattempo Bianca non li scambi per caramelle.
E magari anche un set di tazzine per fare il tè, rigorosamente di plastica, visto che la zia inesperta l'anno scorso ha scelto le tazzine in ceramica di Barbapapà che dopo neanche un mese erano tutte in frantumi. Ha ancora molto da imparare, la zia.

lunedì 26 novembre 2012

Le ragazze vogliono solo divertirsi (è quello che vogliono davvero).

foto di Walter Breveglieri
Qualche giorno fa ho sentito dire alla radio che in questi giorni ricorre l'anniversario della nascita del juke-box. Il mio ricordo più bello legato a questo apparecchio risale a un'estate del 1984, quando al campeggio della Partaccia a Marina di Massa (l'unica volta della mia vita che andai in campeggio con la mia famiglia) la sera si stava nella zona del bar e a me piaceva ascoltare sempre la stessa canzone, Girls just want to have fun di Cyndi Lauper. Era una canzone che mi trasmetteva, e mi trasmette, una grande energia, e ogni volta che l'ascolto mi vien voglia di ballare e saltare. Avevo dieci anni, ed era così che immaginavo il mio immediato futuro: un misto di ribellione e divertimento, come quella pazza di Cyndi, con i capelli arancioni e i vestiti bizzarri. La ribellione e il divertimento saltavano fuori dalle note, perché io l'inglese non lo conoscevo ancora. Le ragazze vogliono solo divertirsi. 
Da allora, salto direttamente al 2011, in una tequileria di Città del Messico, ma non ricordo in quell'occasione che canzoni ascoltammo (e pensare che è passato solo un anno!). Eravamo concentrati sull'atto di scegliere più che sulla scelta. Siamo così abituati a far andare random migliaia di canzoni sull'iPod, che il fatto di avere una scelta limitata, e di esprimere in quella scelta il meglio di noi stessi, ci sembrava un bel divertimento. Del resto, le ragazze vogliono solo divertirsi. Sono passati quasi trent'anni ma non è cambiato niente.


domenica 25 novembre 2012

Woman is the nigger of the world.


Oggi è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Ecco, volevo solo dire questo. Ascoltate John e questa meravigliosa canzone.

sabato 24 novembre 2012

Autunno



Autunno, inserito originariamente da Michele Nespoli.

giovedì 22 novembre 2012

Ciò che seduce è ciò che contiene un grande mistero.

Ieri, ho sentito dire, per l'ennesima volta, peraltro da persona colta e intelligente, che il verbo sedurre, che deriva dal latino seducere, significherebbe, letteralmente, "condurre a sé". Non è vero, ma in quel momento non ho avuto il coraggio di smentire il mio interlocutore per non far fare una figura barbina a lui e non passare io per saputella.
Una decina di anni fa, per l'esame di Filosofia del linguaggio, mi sono ritrovata a scrivere una "tesina" sulla parola seduzione. Ed ecco qualche riga di quella tesina, tanto per mettere i puntini sulle I. Se poi volete leggerla tutta, chiedetemela, e ve la mando via mail.

Diciamo subito che in latino il verbo seduco, is, duxi, ductum, ere non significa, appunto, come potrebbe sembrare a prima vista, "condurre a sé", ma deriva da se(d)- ("a parte", "via") e ducere  ("condurre"), e quindi significa "condurre in disparte, separare, dividere": "sviare". Solo nel latino tardo, in particolare in quello ecclesiastico, il termine passa a indicare l'azione del "sedurre, corrompere" o, più in generale, "indurre altri all'errore o alla colpa", riferita il più delle volte al demonio, che è detto spesso "il seduttore". La sua opera per indurre al male, è qualificata come seduzione: viene detta seduzione l'azione per indurre all'idolatria e all'impurità.  Per la religione rappresenta quindi la strategia del demonio. Sedurre nel significato di "circuire una donna" e "attrarre, avvincere" è il fr. séduire (1538 nella prima accezione, 1698 nella seconda); seduzione nel significato di "fascino, malìa" è il fr. séduction (1734). La parola seduzione è dunque andata incontro, nel corso dei secoli, a una serie di slittamenti semantici.

mercoledì 21 novembre 2012

L'uovo nero.

Ed ecco la fiaba di Luigi Capuana che ha ispirato il nome della casa editrice.

L'uovo nero
di Luigi Capuana

elaborazione di Peppo Bianchessi
C'era una volta una vecchia che campava di elemosina, e tutto quello che buscava, lo divideva esattamente: metà lei, metà la sua gallina.
Ogni giorno, all'alba, la gallina si metteva a schiamazzare; avea fatto l'uovo. La vecchia lo vendeva un soldo, e si comprava un soldo di pane. La crosta la sminuzzava a quella, la midolla se la mangiava lei: poi andava attorno per l'elemosina.
Ma venne una mal'annata. Un giorno la vecchina tornò a casa senza nulla.
- Ah, gallettina mia! Oggi resteremo a gozzo vuoto.
- Pazienza ci vuole! Mangeremo domani.
Il giorno appresso, sul far dell'alba, la gallina si mise a schiamazzare. Invece d'un uovo, ne aveva fatti due, uno bianco e l'altro nero.
La vecchia andò fuori per venderli. Quello bianco lo vendé subito; quello nero, nessuno voleva credere che fosse uovo di gallina. La vecchina comprò il solito soldo di pane, e tornò a casa:
- Ah, gallinetta mia! L'uovo nero non lo vuol nessuno.

martedì 20 novembre 2012

Ti fidi di me?

Non ho ancora trovato il mio parrucchiere di fiducia. Ho il mio pasticcere di fiducia, il mio pneumologo di fiducia, il mio erborista di fiducia. Il dentista di fiducia. Ma il parrucchiere no. C'è sempre un piccolo dettaglio che rovina tutto. Certo, come nei grandi amori, bisognerebbe scendere a compromessi: la perfezione non esiste. Bisognerebbe chiudere un occhio sui piccoli difetti per apprezzare i grandi pregi, perché c'è qualcosa in quel grande amore di cui non si può proprio fare a meno. E allora sarà che non mi sono ancora innamorata. Non ho ancora trovato "il parrucchiere della mia vita". Ho solo rapporti occasionali, preferisco mantenere le distanze. Mi infastidisco quando mi lavano i capelli in modo esageratamente energico. Mi infastidisco quando chiedo una piega "mossa" e mi fanno i boccoli. Quando chiedo di fare i capelli di un colore più chiaro, e mi fanno i riflessi rossi. E poi c'è chi ti fa pagare troppo. A volte con l'inganno. Così dopo due tre di questi "piccoli" sbagli, io cambio. Alla fine, gira e rigira sono sempre gli stessi, i saloni che frequento: è come avere quattro-cinque amanti e stare un po' con uno un po' con l'altro. Quando torno, dopo un po' di mesi, dico di esser stata in giro per altre città e loro mi perdonano sempre.

domenica 18 novembre 2012

E mi è scivolato il Natale in bocca.

Già da qualche giorno nei supermercati sono arrivati i prodotti natalizi (e manca più di un mese). Oggi non ho resistito: ho comprato un pandoro, il primo della stagione. So che tra un mese non vorrò più neanche vederlo, lui e il suo amico panettone, ma oggi avevo bisogno di tenere in bocca quella nuvola soffice e burrosa sbuffettata di zucchero a velo. E mi è scivolato il Natale in bocca. Perché il primo morso non è un morso qualsiasi, è un insieme di ricordi, di freddo, di neve, di colori, di fuoco e caminetto, di candele, di sapori che si mescolano, di noci e frutta candita, di brodo e torroncini, e di tutto quello che è il nostro Natale. Che per me è la somma di tutti i Natali che ho vissuto. Qualche anno fa ho avuto la possibilità di vivere il Natale nell'altro emisfero, ero in Argentina. Confesso, non ce l'ho fatta. Il 24 dicembre sono scappata dal Natale in maglietta per venire a rifugiarmi nell'abbraccio dell'orso. Forse avevo solo paura di perdermi un pezzo della mia storia.

sabato 17 novembre 2012

Non ce ne libereremo mai?


Me lo devono spiegare. Perché, se i sacchetti di plastica sono stati dichiarati illegali da quasi due anni, continuiamo a ritrovarceli tra i piedi? Perché cerchiamo di liberarcene in tutti i modi, a volte buttandoli nei cassonetti della plastica (mia zia, che lavorava in un impianto di compostaggio, mi ha sempre detto che quella dei sacchetti è la plastica migliore, quella che si ricicla meglio...), a volte passandoli a parenti e amici, come mezzo per trasportare regalini o oggetti vari, ma loro escono dalla porta e rientrano dalla finestra?
E' vero, qualcosa è cambiato: ormai, quando vai a fare la spesa, alle casse dei supermercati ti danno borse biodegradabili, borse di carta, di cotone, di tela, ma al reparto frutta e verdura si trovano solo borsine di plastica. E ne devi usare una per ogni prodotto che compri. Compri un limone? Una borsina. Due zucchine? Un'altra borsina. E via. Una volta ho pesato separatamente tutte le cose e le ho messe in un'unica borsina di plastica attaccandoci sopra i sei cartellini sputati fuori dalla macchinetta. La cassiera non ha gradito, non lo faccia più, per favore, mi ha detto, che ci complica la vita. E a me, non si complica la vita, con tutti questi sacchettini di plastica, piccoli, leggeri e inutili? E alle foche? Alle tartarughe? Non si complica la vita? "Un piccolo supermercato può arrivare a distribuirne in un anno circa 220.000 pezzi, uno medio-grande può arrivare ad un consumo tra i 310-500 mila pezzi e un ipermercato con superficie oltre ai 4500 mq può arrivare a distribuirne 1 milione e mezzo di pezzi l'anno", leggo su un giornale. Sono cifre terribili, diffuse dal sito Porta la sporta, che però propone anche una soluzione: usare le retine di cotone, come si faceva una volta: http://www.portalasporta.it/mettila_in_rete.htm. Mi sembra un bel modo di iniziare la Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti.

lunedì 12 novembre 2012

A boy. And a girl.



A boy. and A girl, inserito originariamente da MiFrizKa.

venerdì 2 novembre 2012

Che è domenica lo si capisce dall'uovo sbattuto.

Oggi non è domenica, ma a me piace pensare che lo sia. È un giorno di festa, e quando è festa io mi sveglio e ho voglia di mangiare un uovo sbattuto. Si sbatte il tuorlo di un uovo fresco in una tazza, con tre-quattro cucchiaini di zucchero, e lo si mangia così, cucchiaino dopo cucchiaino (finisce piuttosto in fretta). Oppure se ne avanza un pochettino e gli si versa sopra il caffè fumante della moka. L'uovo sbattuto era una di quelle cose che mio papà mi permetteva di mangiare solo la domenica, quando ero bambina. Non so, perché, solo la domenica, forse perché mangiare troppe uova faceva male, o semplicemente perché la domenica avevamo più tempo per fare colazione. A me faceva sentire grande, perché non erano i soliti biscotti, e perché mia sorella, che era più piccola, non lo mangiava. Che il motivo era un altro, l'ho capito dopo. Non perché era piccola, non lo mangiava (del resto non voleva assaggiare nemmeno la marmellata!); credo le facesse schifo la consistenza, o la viscidità di certi alimenti, e quindi li rifiutava a priori. Ma questa è un'altra storia.

giovedì 1 novembre 2012

Il meino tortionata

Comincio a sospettare che la mezza bustina bianca che ho aggiunto all'impasto non fosse lievito ma zucchero a velo, o qualcos'altro. Perché i meini, che ho tentato di fare stamattina appena sveglia, i mein di morti, non solo non sono lievitati, ma si sono incollati tutti, a formare un'unica teglia di grande biscotto scuro che più che meino sembra tortionata (evito di pubblicare la foto, per decenza). O forse ho sbagliato la farina. Vincent ha ribattezzato il mio tentativo "modello Sahara", o per dirla alla Benni, paneterno. Ma non mi scoraggio, non mi offendo, è solo il primo tentativo, e si impara dai propri errori.

La ricetta  l'ho presa dal volumetto La cucina di Lodi pubblicato anni fa dall'APT:

Tradizionale dolce del mese di novembre (un tempo infatti si chiamavano i "mein di morti") si mangiano sbriciolati nella panna. Preparare un impasto con 2 etti di farina modenese, 1 etto di farina bianca, due uova (uno col solo tuorlo), 2 etti di zucchero, mezza bustina di lievito e un pizzico di sale, il tutto bagnato con 1 etto di burro appena fuso. Ottenere un impasto omogeneo e fare una sfoglia alta non più di un centimetro, fare dei dischi con uno stampo del diametro di 10 centimetri e riporli su un foglio di carta oleata unta con dell'olio di oliva. Mettere in forno a 180° per circa mezz'ora; togliere i meini non appena la pasta sarà dorata.

Potrei provare ad analizzare i miei errori, uno dietro l'altro, ma sarebbe inutile: sgranocchiamo, per ora, l'unica sarà ritentare, magari seguendo un'altra ricetta, più dettagliata e con qualche aiuto visivo (come questa qui).