domenica 22 luglio 2012

Su un'isola, in mezzo alle montagne.

Ho sempre pensato che le letture dovessero essere in sintonia con il luogo, o la situazione. Quando sono a casa, leggo di tutto, almeno per avere l'impressione di non essere sempre qua. Ma quando viaggio, scelgo letture che mi facciano vedere cosa si nasconde nell'anima del luogo in cui sono di passaggio. Che mi aiutino a capirlo meglio. E non parlo di guide turistiche, parlo di letteratura. Negli ultimi anni ho visitato il Brasile insieme a Dona Flor e a Gabriela, sono stata a Città del Messico con la famiglia Reyes, in Sicilia con Salvo Montalbano e il capitano Bellodi e a Castiglione della Pescaia con Italo Calvino e gli ottuagenari del Bar Lume di Malvaldi.
Tra un paio di settimane mi trasferirò in Trentino, nella Val di Non. E mi sono accorta che le letture che ho scelto vanno da tutt'altra parte: a Procida, con Arturo (L'isola di Arturo), a New York (Molto forte incredibilmente vicino), in Irlanda (Bog child) e, lontano nel tempo, nell'Inghilterra del '600 (Amber). E naturalmente, ancora una volta, in Sicilia, con Salvo Montalbano (Le ali della sfinge). Come le ho scelte? Non lo so. Libri che volevo leggere da tempo. Ora, siccome non ho trovato nessun libro degno di essere letto, ambientato in Val di Non, o che parlasse della Val di Non, penso che però dovrei almeno trovare un libro che respiri i boschi, le altezze, le montagne, la fatica, il silenzio, la solitudine. Solo per sentirmi un po' in sintonia con il paesaggio, con la gente. Ho pensato ai libri di Corona. Ma forse c'è qualcosa di meglio. Si accettano suggerimenti.

mercoledì 18 luglio 2012

In Sicilia (e in tanti altri posti) funziona così



«Novità, stanotte?» fu la prima cosa che spiò al commissario.
«Nessuna. E tu che hai fatto?»
«Sono annato allo spitale di Montelusa. Ci ho perso la matinata sana sana. Nisciuno mi voliva diri nenti».
«Perché?»
«La privacy, dottore. D'altra parte io non avevo nessuna autorizzazione scritta».
«Quindi non hai combinato niente?»
«Chi gliel'ha detto?» fici Fazio tiranno fora dalla sacchetta un foglietto.
«Chi ti ha dato le informazioni?»
«Un cugino dello zio di un mio cugino che ho scoperto che travaglia là».
Le parentele, macari quelle tanto lontane da non essiri cchiù tali in qualisisiasi altra parte d'Italia, in Sicilia erano spisso l'unico sistema per aviri 'nformazioni, accelerare 'na pratica, scopriri indove era annata a finiri 'na pirsona scomparsa, trovare un posto a un figlio disoccupato, pagari meno tasse, aviri gratis i biglietti del cinema e tantissime altre cose che macari non era prudente fari sapiri a chi non era parente.
Andrea Camilleri, La pista di sabbia

martedì 17 luglio 2012

L'inutilità della scorta.


D'altra parte, se quelli avivano pigliato la decisione di sparargli, come avrebbe potuto addifennersi? Con una pistola, che macari s'inceppava al secunno colpo, come era capitato a Galluzzo, contro tri kalashnikov?
Annanno a dormiri in commissariato, come aviva suggerito Fazio? Ma via!
Alla prima nisciuta fora, per annare a mangiari o per vivirisi un cafè, il solito motociclista col casco integrale avrebbi potuto appesantirlo di qualichi chilata di chiummo.
Cataminarsi sempri con la scorta? Ma la scorta, era ampiamente dimostrato, non era mai arrinisciuta a evitare un omicidio.
Semmai, era sirvuta ad aumentare il numero dei morti: non sulo la vittima designata, ma macari dù o tri della scorta.
Ed era inevitabile che fusse accussì. Pirchì chi ti s'accosta per ammazzarti, sa esattamente quello che deve fari, capace che ha fatto decine di prove e simulazioni, mentre quelli della scorta, che sono addestrati a sparari in secunna battuta, vali a diri doppo che sono stati assaltati, per difisa e non per offisa, non conoscono nenti delle 'ntinzioni di chi si sta accostanto. Quanno lo capiscono, qualichi secondo doppo, è troppo tardi: la differenza di pochi secondi tra l'aggressore e la scorta è la carta vincente dell'omicida.
'Nzumma, la testa di chi usa le armi per ammazzare ha una marcia in più di chi usa le armi per difesa.
Comunque era nirbùso, non lo potiva negare.
Andrea Camilleri, La pista di sabbia.

giovedì 12 luglio 2012

Vintage



vintage, inserito originariamente da TIFFANY DAWN NICHOLSON (TDNphoto).

martedì 10 luglio 2012

L'esattezza delle cose che ti aspetti.


L'esattezza delle cose che ti aspetti, la perfetta coincidenza di ciò che hai immaginato con ciò che è, la felicità di vedere che le due cose si sovrappongono esattamente e non c'è più divario tra pensiero e realtà. Stupendo. Non facile. Quasi sempre ti fai un'idea delle cose che poi non è mai quella.
Paola Mastrocola, Una barca nel bosco.

domenica 8 luglio 2012

Vigàta.

Vigàta era suppergiù come si era stampata nella so' mimoria, c'era qualichi costruzione nova sul Piano Lanterna, si trattava di orrendi grattacieli nani di una quinnicina o vintina di piani, mentre erano del tutto scomparse le casuzze a ridosso della collina di marna ammassate l'una sull'altra e l'una allato all'altra a formare un intrico di vicoli pulsanti di vita. Erano perlopiù catoj, vale a dire abitazioni fatte di una sola cammara che di jorno pigliavano aria solamente dalla porta d'ingresso di nicissità tenuta aperta. E accussì, mentra passavi per quei vicoli, potevi assistere a un parto, a una sciarriatina familiare, a un parrino che dava l'Estrema unzione a un moribondo, ai preparativi per un matrimonio o per un funerale. Tutto a vista. E tutto in una babele di voci, di lamenti, di risate, di biastemie, d'insulti. Spiò a un passante come mai fossero sparite le casuzze e quello gli arrispunnì che se le era portate via, a mare, qualichi anno avanti, uno spavintoso alluvione.
S'era scordato, invece, dell'odore del porto. Un misto d'acqua di mare ferma, di alghe marcite, di cordame infraciduto, di catrame cotto al sole, di nafta, di sarde. Ogni elemento che componeva quell'odore, pigliato a sé, forse non costituiva un gradito omaggio all'odorato, ma l'insieme finiva col formare un sciàuro gradevolissimo, misterioso e inconfondibile.
Andrea Camilleri, La prima indagine di Montalbano

giovedì 5 luglio 2012

Sinestesie.

Questo brano parla di un fenomeno che mi ha sempre affascinato: la sinestesia.

La sinestesia - letteralmente «percezione simultanea» - è uno dei fenomeni più antichi noti alla neurologia. «Che voce friabile e gialla che ha» si sentì dire il famoso psicologo russo Lev Vygotsky da uno dei suoi pazienti; alcuni decenni dopo, uno scrittore sosteneva dall'Australia che il nome «Vancouver sa di budino di riso, ma con l'uva passa». Per chi ha capacità sinestetiche, uno stimolo visivo può essere accompagnato da un suono; toccare una superficie può generare un sapore. Questo abbinamento dei sensi è costante e coerente, istintivo e involontario. «In tutta la mia vita, non ho mai abbandonato la convinzione che la lettera E si di un freddo colore grigioazzurro» ammise il dottor James Key intorno al 1880. Questa sincronia si manifesta a partire dalla prima infanzia; il sinesteta più famoso, Vladimir Nabokov, da piccolo si lamentò con la madre che i colori delle lettere sui suoi cubetti di legno erano «tutti sbagliati».

E queste associazioni, anche quelle più fantasiose, sono permanenti. Un adolescente «sinestetico», con una rara variante «audiomotoria» di questa condizione, si metteva in posizioni diverse a seconda delle parole che sentiva. «Quando, dieci anni dopo, il medico gli lesse lo stesso elenco di parole» scrive il neurologo Richard Cytowic «il ragazzo assunse, senza alcuna esitazione, le stesse posizioni di un decennio prima».
Simili abbinamenti possono sembrare assurdi, ma in tutti noi i sensi interferiscono gli uni con gli altri.
La Virginia Dare, che produce estratti alimentari, una volta colorò di rosso un estratto di arancia e lo sottopose a una prova di assaggio con quaranta partecipanti. La maggior parte identificò il sapore come ciliegia o fragola; solo cinque riconobbero il sapore di arancia. Forse i soggetti avevano semplicemente dato la risposta che gli sembrava più logica: dopotutto era un liquido rosso. Ma cosa può spiegare la convinzione che un rullante sia intrinsecamente marrone o che toccare il velluto sappia di caramella mou?

Paul Collins, Né giusto né sbagliato, Adelphi 2005

mercoledì 4 luglio 2012

Cronaca di un matrimonio (tre anni fa).

Quel giorno la sposa si preparò per tempo ma sulla strada per raggiungere la chiesetta nel borgo in cima alla collina il buon Dio aveva messo tante auto e tanti ostacoli, che non si sa come fece ad arrivare puntuale davanti alla chiesa proprio nell'ora esatta del matrimonio. Lo sposo era lì ad attenderla sul sagrato, insieme ad alcuni (pochi, a dir la verità) invitati. Erano stati tutti rallentati dal grande traffico di esodo di inizio luglio. (Alcuni dissero dopo che quella era certamente una giornata da bollino rosso ma tutti i mezzi di informazione segnavano bollino verde). Il prete disse allo sposo: «Io aspetto mezz'ora non di più». Lo sposo disse: «Ci vorrà almeno un'ora». Perché la sposa non era mica pronta. Doveva ancora vestirsi. 
A tempo di record la sposa raggiunse la casa di un amico, si vestì, si truccò; poi tutti sparirono e la lasciarono sola col bianconiglio padre che continuava a ripetere: «Siamo in ritardo, siamo in ritardo, siamo in ritardo». La sposa si infilò le scarpe che per il caldo e l'afa faticavano a entrare, facendo acrobazie perché l'abito era davvero stretto, e si spettinò, e imprecò e uscì di fretta e salì sulla Cinquecento bianca del bianconiglio.
E arrivò - di nuovo - davanti alla chiesa e scese dall'auto e tutti (i pochi presenti) applaudirono e lei si accorse che mancavano il bouquet, il fotografo, i testimoni. Entrò, raggiunse l'altare, e si accorse che mancavano le fedi, e mancavano pure i lettori. Il ritardo era generale, il prete un po' si irritò ma il matrimonio si fece lo stesso, nonostante il caldo e il gran caos.
Fu una festa memorabile, e i musicisti suonarono anche la fisarmonica.


domenica 1 luglio 2012

Il prossimo sdiluvio.

L'indomani a matino, quanno s'arrisbigliò dopo una nuttata di sonno tanticchia agitato e raprì la finestra, il commissario s'arricriò. C'era un sole di mese di luglio in un cielo tutto tirato a lucito, apriva puliziato di frisco col detersivo. L'acqua di mari, che per dù jorni aviva completamente cummigliato la spiaggia, si era ritirata, ma aviva lassato la pilaja lorda di sacchi di munnizza, buatte vacanti, buttiglie di plastica, scatole sfunnate, lurdie assortite. Montalbano s'arricordò che in tempi oramà remoti il mari, quanno s'arritirava, lassava sulle spiagge sulo alghe profumate e conchiglie bellissime che erano come un rigalo che il mari faciva all'òmini. Ora invece ci restituiva la nostra stessa fitinzia.
E gli tornò a menti macari una commedia liggiuta quann'era picciotto, si chiamava Il diluvio, indove si sosteneva che il prossimo sdiluvio non sarebbe stato per acqua di cielo, ma che tutti i cessi, tutte le latrine, tutte le fogne, tutti i pozzi neri del mondo si sarebbero messi a sbummicare irresistibilmente fino a faricci annegari nella nostra stissa merda.
Andrea Camilleri, Il campo del vasaio