mercoledì 19 settembre 2012

Non sono morto.

Oggi ricorre il ventisettesimo anniversario della morte di Italo Calvino. Qualche tempo fa ho letto questo ricordo di Pietro Citati (che riporto qui sotto, anche se non integralmente), apparso nel suo Ritratti di donne (1992) e ripubblicato da Minimum Fax all'inizio del bel libretto Uno scrittore pomeridiano. Intervista sull'arte della narrativa. Citati ci parla di un amico, di un Calvino giovane, e poi uomo, delle sue abitudini di vita e di scrittura, delle sue stravaganze e della sua riservatezza, delle sue letture. Ho amato molto i libri di Calvino; forse è il primo scrittore italiano che ho amato, fin dall'infanzia, e che ha accompagnato diversi momenti della mia vita. Quando è morto, avevo solo undici anni, ed è allora che sono cominciate le mie letture, quelle vere. Io ero lì, in mezzo al mare, avevo iniziato a navigare da poco. Lui era già su un'isola, la sua isola, e scriveva, scriveva su fogli di carta, fogli volanti, e con questi fogli faceva barchette e aeroplanini, che poi lasciava andare, e io dalla mia barca li acchiappavo e li leggevo avidamente, e non sempre riuscivo ad afferrare tutto, non sempre era una lettura facile, a volte le parole sembravano sbiadite, difficili da decifrare, ma non mi importava, perché con Calvino era come mettersi degli occhiali nuovi per guardare la realtà, la stessa realtà in cui dovevo remare e fare fatica.
L'anno scorso ho passato diversi giorni a Castiglione della Pescaia, in Toscana, dove Calvino trascorse l'ultimo periodo della sua vita e dove, poi, è morto. La biblioteca porta il suo nome e dovunque ci sono sue foto. E tracce di lui.
Italo Calvino riposa nel Cimitero di Castiglione della Pescaia, circondato da una siepe di rosmarino. Guardando il mare.



















Ecco un brano del ricordo di Citati.

Il suo paesaggio cambiò. Se aveva vissuto a Parigi come un estraneo e a Roma come un ospite, ora la sua vera casa era la pineta di Roccamare, presso Castiglione della Pescaia. In qualche modo, ripeteva il paesaggio ligure. Anche qui, tutto era limitato: una striscia di sabbia chiusa tra due promontori, una pineta, una macchia, un piccolo giardino dove tutto sembrava miniutarizzato. Scriveva nel cuore della casa, in alto, in uno studiolo raggiunto da una scala pericolosissima, come in un pollaio aereo o in una colombaia. Sotto i suoi piedi, la moglie parlava con le amiche o con la domestica, entravano i fornitori, arrivavano gli amici; e lui continuava a scrivere, immerso nel rumore dell'esistenza, vegliando sulla casa come una cicogna. Non diceva mai di no alle cosa. Ma si era ormai allontanato profondamente dalla realtà, chiuso nel suo mondo di ombre leggere. Sulle soglie tra lui e la vita, tra lui e gli altri, aveva disposto la moglie, che doveva riferirgli tutto: che volti avessero gli altri uomini, cosa accadesse nella pineta, che ombre gettassero gli alberi, che odori attraversavano il prato, che sapori avevano i cibi, che suoni la musica. Lassù in alto, come un'ape riceveva il miele che la moglie aveva raccolto, e lo depositava nella delicatissima arnia della sua mente. (...)
Poi sulla pineta scesero, troppo rapidamente gli ultimi anni. Volgendo le spalle a qualsiasi idea generale, Calvino si accontentava di contemplare un'onda, un ciuffo d'erba nel giardino, un uccello che cantava (...) L'ultima estate fu difficile. Scriveva le sue Lezioni americane: un libro bellissimo, l'Ars poetica della nostra fine di secolo, dove la letteratura antica e moderna si riflettono in un limpido specchio. Non era di buon umore: non usciva più di casa, chiuso nell'alta colombaia, non faceva il bagno. Pensava di perdere tempo: era uno scrittore, doveva dar forma alle decine di racconti che gli gremivano il capo, non riflettere sulla letteratura. Ai primi del settembre 1985 le Lezioni erano quasi finite: ma, per lui appartenevano già ad un tempo passato. In quegli ultimi giorni lo vidi due volte; e fu tenero, affettuoso, divertente, quasi felice. (...) Poi non ci fu più niente. Ci fu la caduta al suolo, la cosa dell'autoambulanza fino a Siena, l'orribile ospedale dove avevo conosciuto altre morti, i visi stravolti dei medici, l'operazione inutile, i discorsi inutili, le attese inutili, il capo bendato, la piccola tomba sul mare di Castiglione. Una mattina i medici ci dissero, per consolarci, che tutto era andato benissimo. Quella di Italo era una malformazione cerebrale congenita. Avrebbe dovuto morire a venticinque o trenta anni al più tardi. Quanto tempo aveva guadagnato; quanti libri aveva scritto, col suo passo da marinaio-contadino che si inoltrava nei gerbidi. Come era stato accorto nel sottrarre tempo - l'unica ricchezza che importa - alle divinità che si prendono gioco di noi. E mi dissi che nemmeno lui, forse, sapeva di essere così fragile. Aveva eluso la propria fragilità colla pazienza, il lavoro, la discrezione e quella terribile maga, che trasforma ogni fragilità in forza, ogni forza in fragilità: la letteratura.
Non sogno mai. Due anni più tardi, Italo mi apparve in sogno. Aveva ancora la fronte bendata, ma il sorriso era quello, luminosissimo, dell'ultima sera. Mi diceva: «Sai, è stato tutto uno sbaglio. I medici non hanno capito. Non sono morto».

giovedì 13 settembre 2012

Roald Dahl day

Oggi è il Roald Dahl Day e io lo festeggerò rileggendomi qualcosa di questo grande autore. Negli ultimi anni ho letto moltissimi suoi libri, dalla Fabbrica di cioccolato a Le streghe, da Gli sporcelli a Boy, ma anche bellissimi racconti delle sue esperienze di guerra. Sono felice di averlo scoperto da adulta, le sue storie mi hanno sempre divertito tantissimo. Anzi, credo che sia un autore che vada letto da adulti, perché porta un po' di colore nella vita di tutti i giorni. Spesso i suoi personaggi sono bambini che vivono situazioni difficili, ma non perdono mai l'ottimismo e la speranza, e riescono sempre a cavarsela con fantasia e ingegno. O adulti insopportabili e ripugnanti. E che dire di tutte quelle bizzarre creature, come gli Umpa-Lumpa? E di quel misto di cinismo e ironia che è il surreale Willy Wonka? Ecco, mi è tornata la voglia di rileggere tutto, di Roald Dahl. Inizierò da quell'unico libro che ho sempre avuto sul comodino, e non ho mai letto: Il GGG.


Sofia non riusciva a prender sonno.
Un raggio di luna che filtrava tra le tende andava a cadere obliquamente proprio sul suo cuscino.
Nel dormitorio gli altri bambini sognavagno già da tempo. Sofia chiuse gli occhi e rimase immobile tentando con tutte le sue forze di addormentarsi. Ma niente da fare. Il raggio della luna fendeva l'oscurità come una lama d'argento e andava a ferirla in piena faccia.