mercoledì 29 febbraio 2012

Scrivere e dormire.


Quando scrivete, volete pur liberarvi del mondo, non è vero? E' ovvio. Quando state scrivendo, state creando i vostri mondi.
(...) Nello scrivere e nel dormire impariamo a interrompere le attività fisiche mentre al contempo incoraggiamo la mente a staccarsi dalla routine intellettuale del nostro vivere quotidiano. E come la mente si abituano a un certo quantitativo di sonno, diciamo sei, sette, forse le otto ore raccomandate per ogni notte, così da svegli si può addestrare la mente a dormire in modo creativo e a sviluppare quei sogni a occhi aperti le cui vivide immagini sono ottime opere di fiction.
Ma avete bisogno della stanza, avete bisogno della porta e avete bisogno della risolutezza a tenerla chiusa. E avete bisogno anche di un obiettivo concreto.
Stephen King, On writing

sabato 18 febbraio 2012

Uno scrittore deve essere un critico.

immagine tratta dal bellissimo sito http://bookshelfporn.com/
Uno scrittore, più di ogni altro artista, deve essere un critico, perché le parole sono così volgari, così familiari, che egli per forza deve setacciarle e sceglierle con cura, se vuole che esse possano durare. Scrivete tutti i giorni, scrivete liberamente; ma dobbiamo sempre confrontare ciò che abbiamo scritto con ciò che hanno scritto i nostri maestri, i grandi scrittori. E' un'umiliazione, ma è essenziale. Se vogliamo conservare e creare, non c'è altra via. E lo faremo. (...) Possiamo cominciare subito (...) leggendo continuamente, simultaneamente, poesia, commedie, romanzi, storia, biografia, il vecchio e il nuovo. Dobbiamo conoscere prima di poter scegliere. Non serve avere un palato delicato: ognuno di noi ha il suo appetito, e deve trovare l'alimento che gli si confà.
Virginia Woolf in La torre pendente, Folios of New Writing, autunno 1940 (tratto da Voltando pagina. Saggi 1904-1941, a cura di Liliana Rampello)

martedì 14 febbraio 2012

La complessità dell'amore.

Robert Fry, Ritratto di Virginia Woolf
Perché, si disse, mentre l'occhio le cadeva sulla saliera nel mezzo del disegno, lei non doveva sposarsi, grazie al cielo; non doveva subire quella degradazione. Sarebbe scampata a quella diluizione. Avrebbe spostato l'albero un po' più al centro.
Tale era la complessità delle cose. Ciò che le accadeva, in particolare quando stava dai Ramsay, era di provare insieme due sentimenti violentemente opposti; questo è quello che sentite voi, era uno; questo lo sento io, era l'altro; e i due insieme battagliavano nella sua testa, come adesso. È così bello, così eccitante, l'amore, che al suo orlo io tremo, e mi offro, contro le mie abitudini, di andare a cercare la spilla sulla spiaggia; ma è anche la più stupida, la più barbara delle passioni umane e trasforma un bravo giovane dal profilo di cammeo (era delicatissimo il profilo di Paul) in un bruto, armato di mazza (eccolo lì che faceva il gradasso, l'insolente), che si agita su e giù per Miles End Road. Eppure, si disse, dall'alba dei tempi si sono cantate odi all'amore, l'hanno coperto di rose e ghirlande, e nove persone su dieci, se richieste, avrebbero risposto che non volevano altro; mentre le donne, a giudicare dalla sua esperienza, da parte loro, sentivano piuttosto che no, non è questo che volevano, non c'è niente di più noioso, puerile e disumano dell'amore. Eppure è anche meraviglioso e necessario. E allora, e allora?
Virginia Woolf, Al faro

sabato 4 febbraio 2012

Torta gialla e marrone della nonna Franca.

Fino a qualche anno fa (fino a quando le forze gliel'hanno consentito) mia nonna aveva il compito di sfornare torte per tutta la famiglia, per i compleanni ma a volte anche per gli onomastici e gli anniversari di matrimonio. Si poteva richiedere la crostata burrosa di amarene o, in alternativa, la torta gialla e marrone, anche se ormai lei conosceva le nostre preferenze e non chiedeva più. Per il compleanno di mia sorella (che non è mai riuscita a mangiare la marmellata  e che, della crostata, mangiava solo gli ambitissimi bordi) eravamo sicuri, ad esempio, che sarebbe stata sfornata una torta gialla e marrone.
La torta gialla e marrone della nonna Franca (conosciuta altrove anche come "torta marmorizzata") sembra una torta banale ma non lo è affatto. Quella di mia nonna era soffice, alta, consistente. Raramente l'ho sentita lamentarsi che non le fosse venuta bene, e in quelle occasioni provvedeva subito a sfornare un altro esemplare. Ed era così buona questa torta, e semplice al tempo stesso, che un anno mia zia partecipò a un concorso di cucina spacciandola per sua e si classificò al terzo posto. Ma la torta era stata fatta dalla nonna.

Gli ingredienti: duecento grammi di zucchero, centocinquanta grammi di burro, tre uova, duecento grammi di farina 00, scorza di limone grattugiata, una bustina di lievito, trenta/cinquanta grammi di cacao (a scelta). Il procedimento è piuttosto semplice e basta rispettare l'ordine in cui ho elencato qui sopra gli ingredienti: mescolare lo zucchero con il burro precedentemente sciolto, aggiungere le uova e poi la farina, la scorza di limone e la bustina di lievito. Infine, separare in due metà (una un po' più abbondante dell'altra) l'impasto ottenuto e a quella più scarsa aggiungere e mescolare il cacao. Imburrare e infarinare una tortiera, e versare un cucchiaio giallo e uno marrone uno giallo e uno marrone etc. etc. fino a riempirla. Infornare per quaranta minuti a centottanta gradi.


Nella fotografia potete vedere l'esemplare prodotto il giorno del mio compleanno, il primo di una serie di cinque (non il migliore), alla ricerca del tempo perduto, gli ultimi due dei quali realizzati dopo lunghe riflessioni insieme allo chef Giulio di Monreale. Perché mia nonna questa ricetta la conosceva così bene, che nel suo sgangherato e lacero ricettario, spiega a stento "come fare": c'è solo un elenco di ingredienti appuntati storti e frettolosi.
Ma ecco i consigli per riuscire a produrre un esemplare che si avvicina al novantacinque per cento ai sapori della mia infanzia.
Primo, la tortiera non deve essere troppo larga, ventiquattro-ventisei centimetri.
Secondo, il burro possibilmente va sciolto a bagnomaria.
Terzo, è bene mescolare il più possibile, fino a ottenere un impasto cremoso; se non si ha sufficiente forza, ricorrere allo sbattitore elettrico.
Quarto, il cacao non va sciolto nel latte (come sosteneva mia mamma): va mescolato all'impasto così com'è, in polvere.
Quinto, cercate di evitare che un orso affamato vi raschi via gli avanzi dell'impasto e cercate di mettere tutto, ma proprio tutto dentro la tortiera: per questo, ho scoperto che esistono strumenti che servono per raschiare i residui delle ciotole: a voi la scelta tra una torta ben riuscita e la felicità leccatoria di un bambino (o di un bambino cresciuto).
Infine lo chef Giulio sostiene che durante la cottura bisogna parlare a bassa voce, non sbattere le porte e non fare rumori.
Se lo desiderate potete anche ricoprirla con lo zucchero a velo.
E poi c'è quel cinque per cento che nessun esperimento riporterà indietro, e che era l'amore che mia nonna metteva nella torta, che confezionava e incartava come un regalo. E naturalmente il suo forno di altri tempi, che oggi sarebbe dichiarato fuorilegge.