martedì 27 ottobre 2009

Un mattino.

Rubinetto, inserito originariamente da sciroff.

Il rubinetto del lavandino rantolò sputacchiò sbuffò e alla signora Paola rimase in mano la pentola per far bollire le patate, riempita solo a metà.
Federico si pulì coscienziosamente il didietro, gettò nel w.c. la carta igienica immonda, tirò lo sciacquone e non scese nulla. Tirò ancora più volte, e alla fine decise di lasciare tutto così, avendo però almeno l’accortezza di abbassare l’asse del water, cosa che peraltro non impedì allo sgradevole odore di diffondersi nella stanza.
Il signor Antonio aveva ancora la bocca indentifriciata, Giada la faccia insaponata, ma entrambi dovettero ricorrere all’acqua gasata del frigorifero per completare le operazioni di igiene personale, come anche l’ingegner Balduini e la signora Garofano, sposati da trent’anni. Soltanto ventiquattr’ore dopo se ne sarebbero pentiti amaramente.
Tutto questo avvenne contemporaneamente nel condominio Petunia (dal nome dei fiori che era consentito esporre sui balconi) alle ore otto e zerocinque del giorno lunedì 15 luglio 2015.
Fu uno squillare reciproco di campanelli, un “anche a lei?” e venne subito chiamato in causa il signor Moroni, caposcala.
“Perché non ha avvisato che ci avrebbero tolto l’acqua?” chiese Federico ancora in pigiama.
“Ma, veramente, io non sapevo – provò a ribattere timidamente il signor Moroni – l’amministratore…”
“Non diamo sempre la colpa all’amministratore, che è una brava persona” lo interruppe la signora Paola, che dell’amministratore era l’amante.
“… cioè, volevo dire – continuò il signor Moroni, che di nome faceva Aldo – l’amministratore non avendomi avvisato, non ci sono lavori in corso… comunque proverò a sentirlo” concluse.
“Sarebbe meglio” risposero in coro i condomini.

La cosa strana fu che anche all’amministratore era venuta a mancare l’acqua, e viveva in un condominio dall’altra parte della città.
Staranno facendo dei lavori comunali, pensò il signor Moroni, ma quando rincasò a mezzogiorno, dopo aver passato la mattinata in giro per la città in cerca di spiegazioni (e non avendone trovate) si accorse che la situazione non era migliorata, anzi.
Era una sorta di catastrofe nazionale.
Dal tiggì dell’una infatti apprese che l’acqua era venuta a mancare dappertutto.
“Come dappertutto?” chiese la moglie.
“Dappertutto” rispose lui, incredulo sull’utilizzo della parola.
Gli esperti stavano ancora indagando le singolari cause del fenomeno, alcuni parlavano di responsabilità svizzere, altri di corresponsabilità svizzero-austriaco-francesi, chi incolpava gli arabi, chi gli americani, gli ambientalisti gli industriali, gli industriali il governo, il governo i governi precedenti. Gli
anchor men invitavano alla calma e al sangue freddo, che nel giro di pochi giorni la situazione sarebbe tornata alla normalità.
Sangue freddo? pensò il signor Moroni. Con questa temperatura?

sabato 24 ottobre 2009

Spuntano margherite


Margherite, inserito originariamente da kerobe!

Un giorno la piccola Viola uscì di casa e si accorse che era cresciuta una margheritina proprio nel mezzo della strada asfaltata di fronte a casa sua.
Le margherite possono crescere sull’asfalto? chiese alla mamma.
Certo che no, rispose lei, le margherite crescono soltanto nella terra.
Viola sospettava che sotto l’asfalto ci fosse la terra, ma non ne era sicura, era solo una supposizione.
Andò a vedere da vicino, guardò bene, ma vide che l’asfalto non era smosso o rovinato: c’era solo un buchino e dal buchino spuntava la margherita.
Rimase col suo dubbio.
Nei giorni seguenti le margherite aumentarono.
E alla fine della settimana tutta la strada era coperta di margherite. Cento, mille margherite spuntate da altrettanti buchini nell’asfalto.
I dubbi aumentarono: sono forse margherite geneticamente modificate? si chiese Viola. O forse è un asfalto geneticamente modificato, asfalto di tufo o di pietra saponaria, così tenero che si può bucare con un grissino? Fece la prova grissino ma non funzionò.
Forse è asfalto cucinato da nonna Aurelia.
Nonna Aurelia faceva biscotti duri come il marmo ma pur sempre biodegradabili se immersi sei mesi nell’acqua. Era asfalto di biscotto!
E se fossero stati i marziani a fare i buchi con laser potentissimi e perforanti?
E poi, perché margherite e non viole? si chiese un po’ risentita.

mercoledì 21 ottobre 2009

Cinquantasei. Il meteorologo.

credit photo: Greg Williams


Ieri notte ho fatto un sogno.

Ero davanti alla televisione quando all'improvviso il film che stavo guardando si interrompeva e compariva in 3D Michael Stipe che mi diceva: "Don't worry! It's going to rain tomorrow and the minimum temperature will raise."

Un augurio? Una minaccia? Una previsione meteo?

Questa mattina volevo tornare al mare ma ormai mi ero rannuvolata, così alla fine sono rimasta a casa.

A pranzo qualcuno ha suonato il campanello, io ho pensato, ma come suona bene, e infatti era sempre lui, il cantante dei REM. Con latte e vin brulé, per scaldarmi.

L'ho fatto entrare, ma più lo guardavo, più mi sembrava di notare piccoli particolari, dettagli, un naso allungato, una testa sottile. Forse è solo un impostore, un sosia di Michael Stipe, ho pensato.

Sta per piovere, ha detto lui (sempre in inglese).

Hai ragione, gli ho detto, ecco qua: ho preso il latte, e gliel'ho versato addosso.

Michael Stipe è evaporato, e al suo posto è rimasto Alberto, l'ingegnere che si intrufola da meteorologo nei sogni altrui.

Per fortuna la meteorologia non è una scienza esatta: domani ci sarà il sole e io andrò al mare.

mercoledì 14 ottobre 2009

Lo chiamavano Saetta.

Di mio nonno ricordo che era vecchio, fumava e faceva i solitari. Era quasi sordo, e quindi parlava poco.
Ogni tanto usciva, andava in centro, forse, noi non lo sapevamo. Era già abbastanza strano, per noi bambine, il fatto che alla sua età uscisse di casa.
Tornava per pranzo e mangiavamo tutti insieme.
Quello che cucinava mia nonna non andava quasi mai bene. Era troppo salato o troppo poco salato, troppo cotto o troppo scotto, e spesso discutevano per il risotto, le cotolette, gli gnocchi o il polpettone, che a noi piacevano tantissimo.
Dopo pranzo si appisolava sulla poltrona, con il plaid sulle gambe. L’ultima volta che l’ho salutato, vent’anni fa, era così, col plaid sulle gambe, e aveva uno sguardo triste, o almeno a me sembra di ricordare che fosse triste, ma forse solo perché dopo qualche giorno è morto.
Una volta all’anno, per il suo compleanno, gli piaceva andare al ristorante a mangiare la frittura di pesce.
Quando è morta anche mia nonna, un paio di anni fa, ho ritrovato delle vecchie foto in bianco e nero, che mi hanno parlato di un uomo diverso, allegro e dinamico, che io non conoscevo se non per sentito dire. Il contrasto tra il mio ricordo e le fotografie era davvero buffo: eppure era la stessa persona.
Non so se ho il rimpianto di aver conosciuto soltanto una parte della vita di mio nonno e di non aver afferrato bene quello che lui realmente era, o se in fondo lui era anche quello, era anche i suoi solitari, le sue sigarette e il suo apparecchio amplifon.
Quando una persona muore, restano soltanto le parole degli altri, restano solo le fotografie, dietro le quali dobbiamo inventarci un mondo e immaginare il fuoriscena e chissà, chissà se è davvero onesto parlare di qualcuno che non c’è più e che si conosceva così poco.