Ieri, ho sentito dire, per l'ennesima volta, peraltro da persona colta e intelligente, che il verbo
sedurre, che deriva dal latino
seducere, significherebbe, letteralmente, "condurre a sé". Non è vero, ma in quel momento non ho avuto il coraggio di smentire il mio interlocutore per non far fare una figura barbina a lui e non passare io per saputella.
Una decina di anni fa, per l'esame di Filosofia del linguaggio, mi sono ritrovata a scrivere una "tesina" sulla parola
seduzione. Ed ecco qualche riga di quella tesina, tanto per mettere i puntini sulle I. Se poi volete leggerla tutta, chiedetemela, e ve la mando via mail.
Diciamo subito che in latino il verbo
seduco, is, duxi, ductum, ere non significa, appunto, come potrebbe sembrare a prima vista, "condurre a sé", ma deriva da
se(d)- ("a parte", "via") e
ducere ("condurre"), e quindi significa "condurre in disparte, separare, dividere": "sviare". Solo nel latino tardo, in particolare in quello ecclesiastico, il termine passa a indicare l'azione del "sedurre, corrompere" o, più in generale, "indurre altri all'errore o alla colpa", riferita il più delle volte al demonio, che è detto spesso "il seduttore". La sua opera per indurre al male, è qualificata come
seduzione: viene detta
seduzione l'azione per indurre all'idolatria e all'impurità. Per la religione rappresenta quindi la strategia del demonio.
Sedurre nel significato di "circuire una donna" e "attrarre, avvincere" è il fr.
séduire (1538 nella prima accezione, 1698 nella seconda);
seduzione nel significato di "fascino, malìa" è il fr.
séduction (1734). La parola
seduzione è dunque andata incontro, nel corso dei secoli, a una serie di slittamenti semantici.