La sinestesia - letteralmente «percezione simultanea» - è uno dei fenomeni più antichi noti alla neurologia. «Che voce friabile e gialla che ha» si sentì dire il famoso psicologo russo Lev Vygotsky da uno dei suoi pazienti; alcuni decenni dopo, uno scrittore sosteneva dall'Australia che il nome «Vancouver sa di budino di riso, ma con l'uva passa». Per chi ha capacità sinestetiche, uno stimolo visivo può essere accompagnato da un suono; toccare una superficie può generare un sapore. Questo abbinamento dei sensi è costante e coerente, istintivo e involontario. «In tutta la mia vita, non ho mai abbandonato la convinzione che la lettera E si di un freddo colore grigioazzurro» ammise il dottor James Key intorno al 1880. Questa sincronia si manifesta a partire dalla prima infanzia; il sinesteta più famoso, Vladimir Nabokov, da piccolo si lamentò con la madre che i colori delle lettere sui suoi cubetti di legno erano «tutti sbagliati».
E queste associazioni, anche quelle più fantasiose, sono permanenti. Un adolescente «sinestetico», con una rara variante «audiomotoria» di questa condizione, si metteva in posizioni diverse a seconda delle parole che sentiva. «Quando, dieci anni dopo, il medico gli lesse lo stesso elenco di parole» scrive il neurologo Richard Cytowic «il ragazzo assunse, senza alcuna esitazione, le stesse posizioni di un decennio prima».
Simili abbinamenti possono sembrare assurdi, ma in tutti noi i sensi interferiscono gli uni con gli altri.
La Virginia Dare, che produce estratti alimentari, una volta colorò di rosso un estratto di arancia e lo sottopose a una prova di assaggio con quaranta partecipanti. La maggior parte identificò il sapore come ciliegia o fragola; solo cinque riconobbero il sapore di arancia. Forse i soggetti avevano semplicemente dato la risposta che gli sembrava più logica: dopotutto era un liquido rosso. Ma cosa può spiegare la convinzione che un rullante sia intrinsecamente marrone o che toccare il velluto sappia di caramella mou?
Paul Collins, Né giusto né sbagliato, Adelphi 2005
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