giovedì 29 luglio 2010

Le aste.

mio papà

Di tanto in tanto mi fermavo dietro qualche alacre scribacchino, mi chinavo e leggevo qualche riga. A vedere le loro terribili grafie, ho esclamato una o due volte: "Vi rimanderei a fare le aste." Ma, dalle facce perplesse che hanno fatto, ho scoperto che non sapevano cosa fossero. Allora ho raccontato: "La scrittura ai miei tempi era una cosa importante." E, mentre loro si disponevano a fingere di ascoltarmi e intanto pensavano "vecchio bacucco", ho seguitato: "In prima elementare, prima di passare alle lettere dell'alfabeto, ci allenavano la mano facendoci tracciare per qualche mese segmenti tremolanti: obliqui, in diagonale, verticali. Quelle erano le aste. Poi, una volta addestrati i muscoli e i polpastrelli alla giusta tensione, a un'adeguata pressione, a un'equilibrata fermezza, a una duttilità controllata, ci concedevano, per pagine e pagine, la lettera a, prima minuscola poi maiuscola. Infine, col contagocce, tutte le altre lettere dell'alfabeto."
"Ah" si sono ipocritamente interessati i miei allievi.
"Un piacere, un godimento" mi sono esaltato.
Ma mentivo. Ho provato, piuttosto, per un attimo, tutta l'ansia di allora e ho rivisto il banco nero, un catafalco da funerale, col ripiano obliquo che si sollevava come il coperchio di una bara per infilarci sotto la cartella.
Con tono mento entusiastico ho riprovato a raccontare: "Avevo una penna che era composta di un'asta tricolore e di un pennino. Il pennino per la scrittura di pregio si chiamava cavallotti." Sul banco - ho seguitato - erano incastrati un contenitore di metallo dentro cui i bidelli mettevano ogni mattina l'inchiostro. Il pennino si intingeva lì. Ma noi ci mettevamo a bagno anche le dita. O ci annegavamo le mosche. O ci ficcavamo la carta assorbente. E mi sono lasciato scappare: "Avevo paura di tutto. Avevo paura soprattutto di quel foro dell'inchiostro."
C'erano altre cose da dire, ma ho percepito sguardi ironici, risatine e Deborah che mi rifaceva il verso a bassa voce: "Aveva paura dell'inchiostro." Inoltre Ernesto - l'unico che contrariamente al solito stava già scrivendo fitto fitto - mi ha interrotto con fastidio dicendo: "Dopo ti debbo parlare."
Ho gridato: "Basta, non perdete tempo." E me ne sono andato in un angolo del cervello a estrarre in solitudine l'alfabeto di tanti anni fa.
Domenico Starnone, Il salto con le aste

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