mio papà
"Ah" si sono ipocritamente interessati i miei allievi.
"Un piacere, un godimento" mi sono esaltato.
Ma mentivo. Ho provato, piuttosto, per un attimo, tutta l'ansia di allora e ho rivisto il banco nero, un catafalco da funerale, col ripiano obliquo che si sollevava come il coperchio di una bara per infilarci sotto la cartella.
Con tono mento entusiastico ho riprovato a raccontare: "Avevo una penna che era composta di un'asta tricolore e di un pennino. Il pennino per la scrittura di pregio si chiamava cavallotti." Sul banco - ho seguitato - erano incastrati un contenitore di metallo dentro cui i bidelli mettevano ogni mattina l'inchiostro. Il pennino si intingeva lì. Ma noi ci mettevamo a bagno anche le dita. O ci annegavamo le mosche. O ci ficcavamo la carta assorbente. E mi sono lasciato scappare: "Avevo paura di tutto. Avevo paura soprattutto di quel foro dell'inchiostro."
C'erano altre cose da dire, ma ho percepito sguardi ironici, risatine e Deborah che mi rifaceva il verso a bassa voce: "Aveva paura dell'inchiostro." Inoltre Ernesto - l'unico che contrariamente al solito stava già scrivendo fitto fitto - mi ha interrotto con fastidio dicendo: "Dopo ti debbo parlare."
Ho gridato: "Basta, non perdete tempo." E me ne sono andato in un angolo del cervello a estrarre in solitudine l'alfabeto di tanti anni fa.
Domenico Starnone, Il salto con le aste
Che bella foto! E come assomigli al tuo babbo!
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