lunedì 11 febbraio 2013

Forse la quinta è l'idea buona. Intervista a Alejandro Dolina.

Dovessi raccontarvi come ho conosciuto Alejandro Dolina, dovessi. Ma non lo farò.
Ci metterei troppo. Riassumendo: un amico me ne parlò in Francia, nel 1998, e la prima volta che andai a Buenos Aires, assistetti al suo programma radio, La vendetta sarà terribile. Lo trasmettevano dal vivo dallo scantinato dello storico Cafè Tortoni. Non conoscevo la lingua, tutti ridevano alle battute e io fingevo di capire e di ridere. Ma non capivo niente. Due anni dopo, nel mezzo della crisi argentina, avevo imparato lo spagnolo, e tornai a intervistarlo, insieme alla mia amica Marialaura. Ancora non capivo benissimo i doppi sensi e i giochi di parole, ma tutto il resto lo capivo: ridevo, diciamo, al cinquanta per cento. Tre anni dopo, ci rincontrammo: io mi ero messa in testa di tradurre i suoi libri, volevo la sua approvazione. Me la diede. Peccato che non avessi un editore (e ancora non ce l'ho, se qualcuno è interessato, si faccia avanti, il lavoro è quasi finito). Nel frattempo il programma aveva cambiato sede. E quella volta risi a tutte le battute. O quasi.

Chi è Alejandro Dolina?


Musicista, scrittore, cantante e conduttore radiofonico, le notizie sulle sue origini sono tanto incerte quanto contraddittorie: pare comunque che sia nato nella provincia di Buenos Aires, ma che i suoi ricordi migliori siano legati a Caseros, dove trascorse un'infanzia felice. La musica ebbe una parte fondamentale nella sua vita: studiò bandonéon, piano, chitarra e naturalmente, a segnare l'inizio della sua relazione con la musica, è il tango. La sua grande sensibilità per qualsiasi forma d'arte lo ha portato a sperimentarne di diverse. Dopo aver lavorato nella televisione e come giornalista, ha deciso di dedicarsi interamente al programma La vendetta sarà terribile da lui condotto con Guillermo Stronati, Gabriel Rolón e Elizabeth Vernacci per due pubblici affezionati: quello che si sintonizza da ogni angolo d'Argentina e quello formato da più di duecento persone, che si riunisce per assistere dal vivo al programma. Le Cronache dell'Angelo Grigio, presentate alla Fiera del libro di Buenos Aires nel 1996 e prima opera narrativa dell'autore, sono state seguite dall'operetta Cosa mi è costato l'amore di Laura e dal Il libro del fantasma.
Su Dolina pesano alcuni luoghi comuni. Di lui si parla spesso e volentieri come di un "uomo di radio". Ma "la strategia più efficace dell'equivoco è la ripetizione", sostiene Jorge Dorio in una delle introduzioni al libro: "i suoi programmi, essenzialmente sostenuti dall'imprevedibile deriva del suo discorso, sono sempre stati più vicini al fenomeno teatrale, al concerto". La verità starebbe secondo Dorio nell'inversione di questa formula: "mentre Dolina finge di parlare per radio, sta in realtà facendo letteratura". Seguendo le tracce di Omero e Socrate, Alejandro Dolina cammina sul filo sottile che separa narrazione scritta e orale, arricchendo l'una attraverso l'altra. Udirlo o leggerlo sono la stessa cosa, e infatti le cronache libresche e le trasmissioni radio convergono in diversi punti, a partire dallo stile (con il sottile e raffinato humour) e dal linguaggio usato (colloquiale e gergale, i termini in lunfardo si sprecano), fino alle tematiche che, attraverso il recupero di leggende memorie e tradizioni, trasmettono importanti valori e rivelano la sua vera natura: quella di folklorista.

L'intervista che segue è stata realizzata nel luglio del 2001.



Ti chiediamo innanzitutto di tracciare un ritratto di te stesso.
La prima cosa che farei se fossi il pubblico italiano sarebbe diffidare di chi, approfittando dell'ignoranza altrui, traccia il proprio ritratto dalla distanza. Io potrei dirvi ora qualsiasi cosa... potrei vantarmi di libri che non ho scritto, potrei indicare abilità che non ho, potrei segnalare avventure che non mi sono capitate. Per chiarirvi, in breve, sono uno che scrive, uno che canta e uno che a volte è in radio. Questo sono io. Poi, se avremo fortuna, un giorno ci conosceremo e quindi saprete chi sono. D'altra parte, Leon Bloy diceva che nessuno sa chi è e se il pubblico italiano non sa chi sono io, nemmeno io so chi sono e nessuno sa chi è, e così iniziamo a conversare e un segno, un'intonazione, una vibrazione delle nostre corde ci dicono chi siamo.

Le tue Cronache dell'Angelo Grigio sembrano chiavi che aprono scrigni segreti nei lettori e fanno riaffiorare ricordi universali, come quelli che riguardano i giochi, il Carnevale o qualsiasi tradizione che i razionalisti e il progresso minacciano. Come sono nate in questo senso le Cronache e quello che tu hai espresso nelle Cronache?
È probabile que questa sia una delle forze che portano al libro, no? Una reazione romantica al progresso, al potere del denaro e della ragione, che sono i poteri che trionfano nel mondo a partire dal Rinascimento - lo dico giustamente a una italiana. C'è, mi sembra, in principio, in questi libri, una reazione romantica che ci incammina verso la passione, verso i sentimenti e anche, senz'altro, verso quelle cose più elementari che compongono la nostra vita e che sembrano seppellite dagli obblighi mondani, come possono essere i giochi, ma anche verso quelle cose che anticamente si facevano in comunione. L'uomo dei nostri tempi, seppellito dalle attrattive che abbiamo menzionato, dal denaro e dalla ragione, ha perso ciò che potremmo chiamare "comunione": è più solo che mai e quindi, forse, ecco che si verifica una umile reazione letteraria contro questa solitudine e una ricerca dei giochi ma anche delle feste, o anche di alcuni rituali che quasi inevitabilmente abbiamo perso. Ad ogni modo, non mi sembra una reazione ingenua: i racconti favoriscono il ritorno a età meno complesse; mi sembra che come armi contro il mondo nel quale ci tocca vivere si usa per esempio il cinismo, l'intelligenza, lo humour nel modo in cui si è capaci e non la semplice ingenuità né la semplice esaltazione di una certa innocenza. Le forme artistiche devono essere complesse e se anche si favorisce un ritorno ai giochi infantili, le armi che usiamo per tornare a questi giochi sono, mi sembra, armi di una certa complessità.

Ho letto in alcune interviste che la storia dell'Angelo Grigio l'hai sentita a Parigi...
È vero: l'ho sentita a Parigi. Significa che mi è venuta in mente a Parigi; significa una certa credenza nella Musa; non so se credo nella Musa, ma è evidente che gli scrittori hanno impulsi interiori e a volte si ha la sensazione che vi sia un qualcosa di esterno che li detti o li aiuti.

Sembra strano perché a me hanno raccontato queste storie in Francia...
Ah sì? E se a me sono venute in mente in Francia vuol dire che per apprezzarle meglio sarebbe il caso di trasferirci tutti in Francia, per vedere se così hanno un senso... sì, ero in viaggio a Parigi e così mi sono venute in mente le prime storie delle Cronache...

Quando?
Molto tempo fa, perché poi le abbandonai... nacquero nel Settanta e qualche cosa, e poi le abbandonai perché capii che non mi servivano, e soltanto dopo ne scoprii l'ultilità. Credo che la metodologia dello scrittore sia curiosa: a volte conviene lavorare con idee mediocri, e continuare a lavorare benché si sappia che le idee sono mediocri, perché le idee vengono legate l'una all'altra e forse la quinta è l'idea buona. Quindi a volte conviene mettersi a lavorare con un'idea che non serve per vedere se questa idea ne trascina un'altra che serve. In questo caso, le idee di Parigi furono inservibili, e quelle di oggi... anche.

Un tema che ritroviamo nelle Cronache e nell'Operetta è l'amore, l'amore impossibile. Se è vero che l'amore è il motore dell'Universo, credi che inevitabilmente ogni opera artistica sia il prodotto di un amore impossible?
È molto probabile; in ogni caso l'arte si mobilita più per quello che non c'è che per quello che c'è. L'uomo si rivolge all'arte quando comprende che è incompleto, quando comprende che morirà, quando comprende che il suo appetito di eternità non sarà saziato. E quasi non esiste arte che sia espressione di intera soddisfazione... quasi, perché alcune cose ci sono. Ad ogni modo, quando l'arte rivela uno stato di soddisfazione esiste già il timore che questo stato non sia perpetuo, di modo che si fa poesia in virtù di qualcosa che è stato perso. Il poeta ha sempre perso qualche cosa: ha perso l'infanzia, ha perso i sogni di gloria, ha perso il suo sogno di giustizia o ha perso la giustizia o la libertà o l'amore, per questo ci sono gli amori impossibili, perché sono gli amori che svegliano il fenomeno artistico, non quelli possibili. Non è che nelle mia vita io abbia cercato patologicamente la trascuratezza e la contrarietà amorosa, no. In realtà ho cercato di far sì che nella mia vita almeno alcuni amori fossero possibili, ma l'amore che risveglia l'arte è l'amore che non c'è, l'amore che se ne è andato, l'amore che non è arrivato. I grandi romanzi d'amore sono di amori difficili, non facili, per quello che ho detto prima, perché se tutto fosse conforme ai nostri desideri non ci sarebbe arte.

illustrazione di Carlos Nine per le Cronache dell'Angelo Grigio
E nel Libro del fantasma? L'ultimo... io ho letto solo La strana lingua di Kampung Sebula: è una specie di continuazione delle Cronache o un'altra cosa?
No, almeno non nelle intenzioni, ma inevitabilmente le opere di uno stesso scrittore è come se, in un modo segreto, si concatenassero...

Ad ogni modo, come nelle Cronache c'è un segno distintivo...
Sì, e riappaiono anche alcuni personaggi delle Cronache: appare Manuel Mandeb e Jorge Allen, non molto, ma appaiono ma non è una continuazione e credo inolte che sia un libro più pessimista delle Cronache. Se nelle Cronache restavano alcuni dubbi, qui esplicitamente si dice che non ci sono miracoli, che dalla morte non si torna, che la gioventù non ritorna e nemmeno gli amori perduti.

E questo dipende dalla tua età?
Non credo, forse non lo so, non è così automatica la relazione tra ciò che succede a una persona e quello che inventa. A volte è addirittura il contrario, ricordiamo cosa diceva Nietzsche sulla nascita della tragedia, che il popolo più felice, quello più contento, più bello, il popolo greco, fu quello che inventò la tragedia e a volte uno crea storie tristi nei momenti in cui si sente più forte che mai... non c'è una relazione facile tra lo scrittore e la sua opera... certo che c'è, una relazione, che non possiamo sapere come è; io non sono sicuro di essere ora più pessimista di un tempo ma so che questo libro mi è uscito un po' più pessimista o forse l'ho fatto così semplicemente come un mezzo per differenziarlo dall'altro, ma è un libro più cinico: questo libro non crede molto in quello che racconta.

Com'è la tua relazione con i personaggi, con Mandeb...?
La mia relazione con i personaggi è altrettanto complessa; in realtà Mandeb è esistito ma è esistito in un modo che non lo riconosceremmo; avevo un amico che si chiamava Manuel che morì durante la dittatura e che era un uomo affezionato ai pensieri stravaganti, e per semplice comodità quando iniziai a scrivere le storie di Mandeb iniziai a pensare al mio amico Manuel, poi Mandeb ebbe la meglio sul mio amico Manuel, iniziò a prendere le sue decisioni, e infine fu un altro. A volte per semplice comodità pensiamo a un amico o a qualcuno che conosciamo per tracciare il ritratto di un personaggio ma poi questo personaggio si dimentica dei nostri amici e a volte di noi stessi. Così esistette un Mandeb ma non era lui, era un altro.

Gli altri personaggi sono come parte di una stessa personalità?
Molto probabilmente sì... infine, io non stavo pensando al mio amico ma a me stesso. E come uno è molte persone nelle sua vita, così io sono stato il musicista Castagnino, sono stato il poeta Allen, sono stato il rifiutatore di leggende, e credo di essere più rifiutatore di leggende che uomo sensibile... così senza dubbio inevitabilmente c'è molto di me, ma quello che non c'è è l'autobiografia.

Quali sono i tuoi modelli nella letteratura argentina? Se ne hai...
Sì, certo. Non so se ho modelli ma ho ossessioni e abitudini letterarie che sicuramente inflenzano quello che scrivo. Ho letto e continuo a leggere Borges, ero molto piccolo ed è evidente... non voglio dire che scrivo come lui e nemmeno cerco di scrivere come lui, ma è evidente: se l'ho letto tanto, qualcosa di lui deve pur segnare il mio viaggio. Devo anche menzionare Leopoldo Marechal (non è così conosciuto in Italia: Leopoldo Marechal è autore di romanzi, è un autore molto complesso e non molto conosciuto all'estero), e sicuramente Adolfo Bioy Casares. Bene, tutte queste sono state notevoli influenze. Cortázar meno come influenza, ma è uno scrittore enorme, però anche molti italiani: sono molto affezionato alla letteratura italiana, tralasciamo l'autore del più grande libro che sia mai stato scritto, che credo sia Dante, a parte tutto questo, a parte Petrarca, Boccaccio, e tutta la letteratura classica italiana potrei nominarti due autori che mi hanno ossessioanto, Giovanni Papini e Pirandello, Pirandello non solo nel teatro, non solo con i Sei Personaggi o Enrico IV o nella Vita che mi desti non so come si dice in italiano, anche con il libro El difunto Mattia Pascal, come si dice...

Il fu Mattia Pascal.
Ah certo. Papini ha scritto una biografia di Michelangelo che è meravigliosa, c'è un racconto fantastico che si chiama Il giorno non restituito, il suo libro più famoso, Il diavolo è straordinario: ne Il diavolo Papini dice che il destino finale del diavolo è il perdono, che il termine ultimo del mondo è il perdono del diavolo, è la riconciliazione, il riscatto del diavolo, e tutto il libro ha una quantità di storie diaboliche della mitologia ecc., ma anche un fortissimo contenuto di meditazione filosofica sul bene e il male, e un altro libro molto famoso di Giovanni Papini è Il libro Nero, un libro di storie giornalistiche che scrisse durante la guerra con i personaggi che parlano di Hitler, della Seconda Guerra Mondiale, degli avvenimenti mondiali, ma è un grande scrittore, Papini. Poi Moravia, Italo Calvino e ultimamente Umberto Eco.

E Ariosto, no?
Ariosto, certo... come dimenticarsi di Ariosto. Ma il legame dello scrittore con l'Italia non è solo con la letteratura, è tutto mescolato. L'artista italiano del Rinascimento non è uno specialista. Michelangelo era pittore, scultore o era, per dirla meglio, uno scultore e un pittore ma anche un bravo scrittore di sonetti. Mi è piaciuto molto, per esempio un libro che ha scritto Benvenuto Cellini, una vita, una biografia, scritta meravigliosamente, ma anche personaggi secondari della storia italiana che dalla propria piccola visione ci danno impressioni fortissime: pensiamo a Giacomo Casanova con le sue Memorie... Così l'Italia influenza gli scrittori non solo con la sua letteratura ma con la sua arte, con la sua formidabile potenza intellettuale, pensiamo a Leonardo.

Il programma che conduci qui nel Tortoni, La vendetta sarà terribile, cosa rappresenta per te ora? Lo fai da molti anni...
Sì, da molto, è stato necessario sottoporlo a un continuo rinnovamento perché conservasse interesse. Credo che questo sia un programma che si rinnova impercettibilmente, forse le tendine musicali sono sempre uguali, il titolo o l'orario sono sempre uguali, ma ci piace credere che l'esigenza che abbiamo con noi stessi è ogni volta più forte, patologicamente forte. Oggi prima di venire qui abbiamo discusso tre conversazioni e una è stata rifiutata, una conversazione sull'idea del Paradiso nella storia, dell'ubicazione del Giardino dell'Eden: è stata rifiutata per mancanza di fiducia nell'autore, un grande autore che conosceva molto bene la storia del Mar dei Caraibi e quindi scrisse sull'ubicazione del Paradiso tenendo conto di quello che dicevano i marinai che venivano nei Caraibi, ma non c'è neanche una piccola citazione della teologia del Medioevo e delle ubicazioni che per il Paradiso si sognarono in altre epoche, così ci siamo detti: questo tipo non conosce il Paradiso, conosce i Caraibi e non va bene, però mi sembra che un tempo non avevamo questo genere di esigenze. Per rispondere alla tua domanda, il programma è sempre stato un matrimonio di convenienza, un matrimonio comodo di persone che non si amano molto ma che si divertono e si trovano bene; fuori dal matrimonio ci sono la musica e la letteratura come donne lontane, a volte inaccessibili, difficili da trattare, antipatiche e dolorose, e qui, tutti i giorni invece c'è un matrimonio di convenienza, una donna che uno non ama molto, ma che ci conosce meglio. Il Programma è più facile: faccio più facilmente il programma che i libri e la musica o il teatro.

Non hai mai pensato di smettere...
Sembra molto lo sforzo perché le dimensioni sono enormi però a me certamente risulta più facile fare sei mesi di programma che scrivere due pagine, molto più facile, perché c'è qualcosa di vivo (le parole della radio se le porta via il vento) e possiamo, se vogliamo, essere mediocri un giorno e due e tre e quattro e cinque settimane, è quasi come una lunga pazienza condivisa tra noi e il pubblico; in letteratura non c'è questa pazienza, ciò che si scrive rimane e si hanno altre esigenze e per dire la verità c'è molto più di me nei miei libri e nella musica che nel programma dove c'è persino una situazione teatrale nella quale io sono io ma non fino in fondo, nella quale lavoriamo con materiale altrui, divulghiamo, siamo divulgatori del genere di Isaac Asimov, così parliamo di Galileo ma non stiamo scoprendo noi la Luna di Giove: parliamo di un signore che si chiamava Galileo che un giorno scoprì la Luna di Giove, questo è divulgare; in letteratura non possiamo dire "C'era un signore che un giorno scrisse Nel mezzo del cammin di nostra vita"...

In che modo questi lavori interagiscono?
Mi sembra che la post modernità tra tante situazioni che promuove facilita quello che chiama la articolazione. Quando ero molto giovane le persone che si dedicavano e più di una disciplina, a più di una cosa, erano chiamate superficiali (chi troppo vuole nulla stringe), quindi se uno suonava il piano e al tempo stesso studiava medicina e al tempo stesso scriveva sonetti era un eterno dilettante. Nei tempi che corrono, in questo inizio di secolo, l'artista ha quest'obbligo: lo scrittore deve conoscere elementi di filosofia, di teatro e di musica e deve articolarli... a cosa serve essere solo pianisti? Se non si ha idea di come si organizza una scena, di che cos'è una messinscena, se non si ha idea di come sono i disegni e non si ha una anche intuitiva formazione pittorica o legata alla plastica, in questo senso la radio mi obbliga a un legame permanente con la pittura, con l'arte, con la filosofia, con la storia e con il rumore e un esercizio improvvisato di creazione e di formazione immediata di scrittura... questa è una ginnastica molto utile per la creazione ma anche al tempo stesso, dall'altra parte, il mio legame con la musica e con i libri che leggo mi servono per ciò che qui a volte si pensa sia improvvisazione: non è improvvisazione, è che uno ha trascorso molto tempo tra libri ed esercizi di creazione che lo rendono abile a maneggiare tutto questo. La radio mi aiuta nei libri, nella musica... e la musica e il libri mi aiutano nella radio e credo che un artista, per quanto sia modesto e piccolo come me, oggi non possa rassegnarsi e credere che la pura ignoranza di una cosa gli garantisca la destrezza e l'abilità in un'altra, come quando si credeva che i medici migliori erano quelli che non sapevano niente di geografia. Io credo che ora sia il contrario: credo che in molte arti sia indispensabile essere uomini di cultura. Un regista deve essere acculturato perché altrimenti rischia di filmare come se non avesse mai filmato, perché? Perché non sa cosa c'è stato prima di lui. Così il fatto di percorrere distinte discipline aiuta me, che non sono nessuno, a camminare un po' più elegantemente.

Cosa hai fatto in teatro a parte l'Operetta Cosa mi è costato l'amore di Laura
A parte l'Operetta ho scritto un'opera basata sul racconto Le tette del Devoto che fu rappresentato nel 1990 e si chiamava giustamente Il quartiere dell'Angelo Grigio. Conoscerai quasi tutta la storia perché è un riepilogo di alcune cose che apparvero nelle Cronache ma ha una forma teatrale e strutturata e ho anche fatto poi alcuni spettacoli minori... non possiamo parlare di opere di teatro, anche se bisogna dire che erano inframezzati da conversazioni: spettacoli teatrali con piccoli passi di teatro e una mezz'ora di durata, presieduti da conversazioni.

In che modo si pongono le persone alle quali tu comunichi, penso che sia diverso comunicare attraverso i libri, e comunicare a chi sta qui e ti sta ascoltando... a cosa pensi quando per esempio fai il programma o quando sei a teatro, o in televisione?
Sinceramente penso a me... Credo che non sia possibile pensare a una entità astratta che si chiama il pubblico. Io cerco - lo dico con tutta l'umiltà possibile - di fare un programma che piaccia a me e non sempre ci riesco perché sono migliore come spettatore che come creatore e sono più esigente, sono uno spettatore esigente e al tempo stesso un creatore poco abile cosicché quasi mai mi compiaccio di quello che faccio, ma ad ogni modo cerco di far sì che piaccia a me. Immaginiamo il contrario, immaginiamo un artista che cerchi unicamente il beneplacito del pubblico. A un certo punto entreranno in contraddizione - credo rapidamente - le sue preferenze e quelle del pubblico e che fa allora? Fa quello che crede che il pubblico voglia o quello che lui vuole? La risposta è: deve fare quello che vuole lui e se poi per un miracolo cosmico abbiamo fortuna e il pubblico si compiace delle stesse cose che piacciono a noi, sarà arrivato il momento di fare una festa e di essere contenti, ma se per ottenere un successo, dobbiamo contrariare le convinzioni più intime della nostra anima, questo è un successo disonorevole.

Ai giovani artisti: un consiglio.
Il consiglio è questo: non bisogna far caso a nessun consiglio e ancor meno a quelli che li tirano fuori facilmente alla fine di un'intervista. Credo che ciascuno debba cercare il proprio cammino. Mi han dato molti consigli, e i consigli diretti, come si vede, non mi sono serviti. Piuttosto è meglio avere a che fare con gli artisti del presente e del passato e vedere cosa riusciamo a imparare da loro.

Riuscivi a immaginare come saresti stato oggi?
Mi vedevo in questo luogo ma in realtà quando ero un piccoletto non facevo altro che sognare e immaginarmi in questo e tutti gli altri luoghi. Mi vedevo in questo luogo ma mi vedevo anche come corridore e come campione mondiale di pesi e come esploratore al Polo Nord: immaginavo tutti i futuri e tra tanti futuri che sognai questo era uno di quelli, non il migliore, ma sicuramente lo sognai; tra tutti quelli che ho sognato, sognai anche questo e sicuramente una notte sognai questa intervista con persone angeliche prevenienti dall'Italia. Immaginatevi un ragazzo di quindici anni seduto sulla soglia senza aver nient'altro da fare che sognare, sicuramente una volta avrò sognato di te, Lorenza o di una futura Lorenza che veniva dall'Italia a domandare cosa pensavo dell'arte e della letteratura, come se ne sapessi qualcosa. Questo è molto di più di quello che abbia mai sognato e che per di più anche le compatriote venissero a tradurre.

Si può anche sognare qualcosa che non è mai successo...
Sì certo, non è necessario che tutto quello che scriviamo venga certificato da un'esperienza, questa è l'idea che la gente comune ha dello scrittore: pensa che uno scriva solo quello che gli è successo, quindi inevitabilmente Salgari, che non è mai uscito da casa sua, deve essere andato in Malaysia, che ne so, non sappiamo. In qualche caso sì, ma in altri no.

Rispetto a quello che lo scrittore mette nell'opera... cosa pensi: lo scrittore esprime ciò che è, ciò che vorrebbe essere o meglio esprime parte di se stesso e sogni di altri...?
Un po' di tutto: è misteriosa l'origine dell'arte dello scrittore. È molto di ciò che uno è, ma in realtà è un po', è un pepe, è un grano di pepe e tutto il resto sono cose che lo scrittore ha letto, cose che ha sentito in casa, abilità che ha imparato da altri scrittori, e non soltanto altri scrittori ma persone senza importanza, della pizzeria dell'angolo... tutta questa collezione di vissuto, di ricordi familiari, scolastici, di libri altrui, di insegnamenti di tecniche, di tecnica, è tutto questo miscuglio, ma il miscuglio stesso è misterioso perché ricevi influenze dirette e indirette. Uno scrittore scrive in un'epoca in cui c'è una dittatura e questa dittatura lo rende ribelle e lo scrittore scrive versi ribelli contro l'Universo, che invocano la demolizione del cielo e dell'inferno, ma questa stessa dittatura può generare anche nella stessa epoca, nello stesso contesto un altro scrittore compiacente che scrive storie in linea con quello che decide il regime.

Come Monteverdi nel '600. 
Esattamente, il padre dell'opera. Certo. Ovvero, non possiamo sapere, non è un processo meccanico. Non è nemmeno meccanica la relazione geografica. Dicono che il Martin Fierro sia un'opera nata in virtù dell'economia pastorale di una zona come la Pampa. Non è vero. Non è vero, per esempio zone - lo dice Borges - con una stessa economia, come per esempio l'Oregon negli Stati uniti che ha una economia pastorale molto simile alla Pampa argentina, si è astenuto dallo scrivere minuziosamente il Martin Fierro, e così ciò che c'è dietro l'opera di uno scrittore è un mistero. È lì ma non sappiamo come funziona. Per terminare: sicuramente gli astri ci influenzano, ma non sappiamo come, non sappiamo come.
Io inoltre ho commesso l'imperdonabile errore di arrivare con un'ora di ritardo, cosa che sarà consegnata all'intervista: un'ora tardi! Mascalzone. Mi è piaciuto molto rispondere a queste domande e mi piace molto sapere che chi leggerà le risposte non mi conosce.

La versione dell'intervista in lingua originale la trovate qui, sul sito di Adelante!

© intervista realizzata da Maria Laura Guzmán Catena e Lorenza Pozzi


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