mercoledì 2 gennaio 2013

Né Primo né Secondo né Terzo Mondo. Dante Silva, pittore argentino.


Anni fa mi piaceva fare interviste. Ne feci diverse e alcune le pubblicammo sull'allora neonato sito dell'associazione culturale Adelante!: scrittori, pittori, artisti che mi è capitato di incontrare per svariate ragioni.
Ho sempre pensato che la forma dell'intervista abbia grandi benefici sia sull'intervistato che sull'intervistante. Intervistare qualcuno significa incontrarlo, stabilire un contatto attraverso il corpo, la voce; significa trascorrere del tempo insieme, per conoscerlo e conoscersi meglio. Cenare insieme, parlare, stare in silenzio. Un'intervista è fatta di domande e di risposte, e di domande che a volte non hanno risposta. 
Ho pensato di ripubblicarne alcune qui, perché non vadano perse.
Ho intervistato il pittore Dante Silva a Buenos Aires nel mese di agosto 2001, a casa sua. Lo conoscevo già da un paio d'anni, mi mise in contatto con lui sua sorella Fanny, che abita a Lodi, la prima volta che andai in Argentina nel 1999. Nel 2003 per la rassegna Terra di fuoco dell'associazione Adelante! organizzammo una mostra di sue opere a Casalpusterlengo, insieme a quadri dell'artista Guido Boletti. Fu lui che mi parlò, per primo, della crisi che dopo pochi mesi avrebbe travolto l'Argentina.


Molti lo ricordano ancora, per la sua modestia e semplicità. Ma da qualche anno se ne erano perse le tracce. Dante Silva, pittore argentino di origini italiane, proprio dieci anni fa soggiornò a Lodi per nove mesi. Un breve lasso di tempo, nel quale però l'artista fu in grado di instaurare rapporti proficui con gli artisti locali, riuscendo persino a realizzare presso il Centro Culturale Vanoni di via Strepponi (ora chiuso) una propria mostra personale. «Di lui mi colpì l'estrema semplicità e umanità - racconta Carlo Santambrogio, allora direttore del Centro - Artisticamente parlando Dante era un grande sperimentatore e possedeva un'abilità particolare nell'uso del colore: aveva la capacità di cogliere tutte le possibili sfumature di un paesaggio, caratteristica che per certi versi assimilava il suo lavoro alla pittura paesaggistica del centro Italia». Anche Ugo Maffi ricorda che «portò un po' di colore nella nostra sbiadita provincia». I suoi colleghi rimasero stupiti dalla sua profonda conoscenza dell'arte europea. Cosa è cambiato in tutti questi anni? Abbiamo incontrato il pittore argentino nella sua casa di Buenos Aires, per parlare di ricordi ma anche di progetti.


Cosa ricordi del periodo trascorso a Lodi dieci anni fa?
A Lodi sono stato in due occasioni, molto gratificanti. La prima volta, nel 1991: in quel periodo entrai in contatto con Carlo Santambrogio, che organizzò la mia prima mostra presso il Centro Culturale Vanoni, di cui era direttore. Grazie a questa mostra conobbi personalità del mondo artistico lodigiano, tra cui Curti, Poletti, Maffi, Bailetti, Quadraroli. Da allora ho un particolare affetto e nostalgia per la gente di Lodi, perché anche nelle vie e nei negozi le persone si sono dimostrate molto cordiali: ricordo ad esempio un giornalaio che mi regalava riviste d'arte perché sapeva che ero un artista. Da quando me ne sono dovuto venire via ho sempre sentito la necessità di tornare. Solo due anni dopo ne ho avuto l'opportunità, grazie ad una mostra a Milano alla fine del '93. In quell'occasione la gente che già conoscevo e quella che conobbi allora (tra cui giornalisti del Cittadino e di altri giornali locali) mostrarono interesse per il mio lavoro come se fossi un cittadino di Lodi. Questo e il legame che ho con mia sorella e la sua famiglia che vivono da molti anni a Lodi, è quello che fa sì che io mi senta parte di questa città. La mia intenzione è di tornare a realizzare attività in Italia non solo perché ho sangue italiano (per le origini della mia famiglia): sento che anche la mia produzione e il mio lavoro hanno sempre avuto a che vedere concretamente con la storia dell'arte italiana.


Dopo naturalmente hai fatto altre mostre…
In Argentina faccio mostre tutti gli anni in musei e ogni tanto qualche mostra di tipo "commerciale". Ne abbiamo fatta una al Museo di Buenos Aires, in gruppo, nel '95, e in Centri Culturali come Recoleta, in fiere dell'arte e musei di città più piccole. In tutti questi anni ci sono state molte possibilità di esporre di nuovo in Italia ma non ho voluto finora tornare a mostrare le stesse opere. Sto aspettando di avere un progetto, a mio giudizio, contundente, per tornare ad affrontare l'esportazione di quadri. Tutto questo è dovuto a moltissime ragioni personali, di pensiero, anche di introspezione dal punto di vista creativo, ma gioca un ruolo fondamentale la mia stessa situazione economica in quanto artista, un difficile aspetto del mio lavoro che ho imparato ad accettare.

E stai aspettando…
Sto portando avanti un progetto molto importante per me, che contiene una vecchia ambizione. Una decina d'anni fa a Parigi ho sviluppato l'idea di una mostra in un museo mediterraneo dell'Argentina che fu realizzata e riscosse grande interesse perché la tematica coincideva con i cinquecento anni della conquista dell'America. Questo lavoro mi portò a svilupparne un altro nel '94, un'esposizione in un museo con un solo quadro, grande, con un tema per noi importante, le Malvinas (il titolo del quadro è Soberanos de Falklands). Feci numerosi viaggi nel Sud dell'Argentina, ed ebbi modo di percorrerlo, viverlo e conoscerlo tutto: conosco profondamente la sua geografia, la sua gente, la sua politica. È dal '95 che ho in mente un nuovo progetto: ora sta andando avanti ma in questi sei anni ho sempre dipinto e esposto, fermandomi solo nel '98.

Ed è con questo nuovo progetto che pensi di tornare in Italia? 
La mostra che ho in mente verrà realizzata quasi sicuramente a fine 2002. Durerà un mese a Buenos Aires, e nel 2003 la mostra o parti di essa andranno in distinti musei del paese. Abbiamo il progetto di venire anche in Europa. Ho lavorato in tutti questi anni con problemi economici, e problemi di agganci perché, anche se avevo questa idea importante, è sempre difficile che venga qualcuno a farsene carico e a permetterti di realizzarla. Le porte a volte si chiudono perché chi ha i mezzi ha paura a fidarsi. Questa situazione dilata i tempi di realizzazione, ma ora tutto è in marcia. Questo progetto uscirà attraverso la Secretaría de Cultura de la Presidencia de la Nación e si chiamerà Tributo alle Province Unite del Sur. Il luogo di esposizione sarà il Palais de Glaces de Recoleta che ospita le Sale Nazionali di Esposizione ed è un palazzo circolare rotondo.

Ci vuoi parlare di questa nuova mostra? 
Questo progetto ha a che vedere con un'importante presa di coscienza: se è vero che un uomo ha una nazionalità, delle radici, una famiglia, è anche vero che possiede una connessione più universale, un legame diretto con il cosmo. Questo mi è sembrato essere la chiave della creazione artistica. Ho intenzione, con il mio lavoro, di mostrare il cosmo come energia primogenita di tutta la vita, a partire dalla natura con le sue attrazioni e forme di vita fino alla materializzazione di questa natura, che include l'uomo con le sue situazioni di relazione e con i suoi fatti sociali. Il tutto contenuto idealmente e concretamente nel territorio della Repubblica Argentina.

Come realizzerai questa idea?
Questa la struttura della mostra. La cupola conterrà un'immagine della via lattea posta nella sua vera ubicazione, vista dell'emisfero sud. Questa immagine potrà essere dipinta, proiettata o realizzata con arte digitale o ad esempio, potrebbe essere il risultato della proiezione di un complesso di raggi laser. Dopo la cupola si trovano alcune ex-vetrate, ora finestre chiuse, che conterranno dodici opere circolari, ciascuna riguardante due province argentine (escludendo le Malvinas sono ventiquattro). Tradizionalmente in Argentina parliamo di regioni, non per regioni propriamente dette: ci sono regioni di cui sempre si parla per associazioni di provincia come ad esempio Cordoba-Tucuman, Mendoza-San Juan… Le opere riguardano la loro condizione geografica, le loro ricchezze naturali, e loro bellezza in modo astratto e anche in questo caso ancora non si sa come verranno realizzate. La parte in basso comprenderà venti grandi quadri, tutti di circa 2 metri x 2 metri 30. Ogni opera rappresenterà una provincia; mentre sopra si parla solamente delle condizioni naturali delle province, sotto si inserisce nella situazione naturale l'uomo con la sua cultura, la sua situazione sociale attuale e le sue situazioni sociali storiche. Le quattro province che mancano sono quattro quadri un po' più grandi, che rappresenteranno gli estremi della Repubblica Argentina, e che saranno ubicate nello stesso senso che hanno nell'ubicazione reale dai punti cardinali, in armonia con la via lattea. L'intenzione è quella di inserire il visitatore della mostra in una situazione reale, in modo che se guarderà al nord, starà guardando realmente al nord, se guarderà la via lattea la guarderà dove sta realmente, con le esatte corrispondenze. Si aggiunge a tutto queste opera, ma in un punto appartato, fuori dal recinto, il quadro Soberanos de Falklands, posizione che renderà ancora più reale la situazione.

Dipingere nell'emisfero nord e in quello sud: cosa cambia?
C'è una cosa che per me è fondamentale. Io nacqui e vivo in un luogo del mondo che è il Terzo Mondo. Intellettualmente non mi sento del Terzo Mondo, e nemmeno del Primo e come uomo, capisco che non c'è né Primo né Secondo né Terzo Mondo. Questo è fondamentale, perché quando prendiamo coscienza del fatto che le nostre capacità intellettuali e creative sono esattamente le stesse in ogni luogo del mondo e non hanno assolutamente niente a che vedere con la contaminazione storica o culturale, è lì che si realizza una riaffermazione assoluta del fatto che le possibilità sono uguali in ogni luogo del mondo. Un uomo a contatto con la natura nel Primo o nel Terzo mondo, se veramente sente questa natura e se gli si dà il tempo e la possibilità di produrre un atto creativo, è immensamente più creativo di qualsiasi altra persona proveniente da qualsiasi luogo urbano. Poi ci sono le creazioni di tipo urbano, prodotto di creazioni "intellettuali" ma, a mio parere, resiste solo quello che ha avuto una relazione profondissima con la realtà o con la natura. Picasso, ad esempio, non sopravvive solo perché è stato un uomo eccessivamente intellettuale e sensibile, ma perché conosce la natura dell'uomo, Botticelli sopravvive perché conosce la natura dell'uomo e ogni sua creazione vola; Leonardo sopravvive perché conosce in profondità l'anima dell'uomo, nonostante nel suo interiore sia un scientifico.


NOTA BIOGRAFICA.
Dante Silva nasce nel 1956 a Rio Tercero (Cordoba), nel cuore dell'Argentina. Inizia a dipingere a 18 anni ispirandosi alla pittura europea dell'800. Partecipa a numerose collettive, ottenendo riconoscimenti e premi di pittura ma realizza anche diverse mostre personali.
Nel 1990 gli viene concessa una borsa di studio e vive per tre mesi a Parigi. Arriva in Italia nel 1991. La sua prima mostra "italiana" la realizza a Lodi, nel dicembre 1991, presso il Centro Culturale "Ezio Vanoni" di via G. Strepponi. Nel 1993 torna in Italia per un'altra personale presso il Centro De Gasperi di Arti visive di via Manzoni a Milano. I lodigiani hanno avuto modo di osservarne le opere anche in un'altra occasione, presso la Chiesa dell'Angelo, nel maggio 1995. I suoi quadri colpiscono per il particolare uso del colore, quelle masse colorate di cui Mario Quadraroli scrisse "recuperano l'immagine con la forza della pittura espressionista". "Opere di forte impatto visivo", annotò Luisa Bergomi, anche e soprattutto per le grandi dimensioni dei quadri, "panorami di largo respiro in cui l'artista alle volte inserisce figure che paiono in attesa". Anche Italo Siboni accennò alla "pittura-visione", scrivendo del pittore argentino: "in lui è sempre viva l'ambizione alta di rendere con la concretezza della materia resa magica, l'essenza poetica che sta nel cuore di tutti gli uomini e di tutte le cose". "Il tutto genera un senso di vaga inquietudine, un leggero disagio, un'angoscia sottile nella certezza di trovarci ammaliati da un paesaggio metafisico, coinvolti in un'esperienza surreale", come scrisse Zaira Zuffetti Pavesi nella presentazione della mostra alla Chiesa dell'Angelo.


Intervista realizzata nel mese di agosto 2001 © Lorenza Pozzi

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