lunedì 7 febbraio 2011

Ricordi di scuola

La nostra era una classe in cui si piangeva molto.
In prima eravamo in ventisette, diciotto in seconda. Ai tempi i professori non andavano tanto per il sottile. Più che bocciare, decimavano.
Si piangeva molto per latino e per storia, per i temi, per Ettore e Achille, ma anche per inglese, chimica, tedesco, matematica e filosofia. E per francese. Insomma, si piangeva per qualsiasi cosa. Si scoppiava in un pianto dirotto, così, di colpo e si correva fuori dalla classe a rifugiarsi nei bagni che puzzavano di fumo. Del resto eravamo tutte ragazze. Era ancora una scuola in cui gli unici rappresentanti del sesso maschile erano soltanto bidelli e professori.
Dietro i banchi si soffriva, si scriveva, si incollavano fotografie sui diari, si ascoltava musica, ci si passavano i bigliettini, c'era chi mangiava lo yogurt, e capitava anche che un aroma d'arancia si diffondesse sull'interrogazione. C'era persino chi si truccava e si dava una passatina ai capelli con lo spray prima della fine delle lezioni, non si sa mai chi puoi incontrare. Dietro i banchi, ci si innamorava: in mancanza d’altro, dei professori.
La scuola, l'edificio, allora, era poca cosa: c'erano la palestrona, quella dove anche mia nonna, ai tempi del Fascismo, si era allenata con la Ginnastica Fanfulla, e la palestrina, quella dove ci hanno messo alla Maturità a fare lo scritto di italiano. Allora si diceva ancora Maturità e per molte di noi lo era stata davvero. C'era l'aula di informatica, con la stampante ad aghi, ma l'abbiamo usata solo in quinta, per fare la tesina.
C'erano le classi, grandi, buie, con la pedana per la cattedra e i tendoni bianchi macchiati di giallo e marrone (cosa fossero quelle macchie non lo volevamo sapere), appesi davanti a finestroni che davano su via delle Orfane, dove una vecchia strega ci osservava dalle finestre di un edificio diroccato.
E c'erano i professori, e so che alcuni ci sono ancora. Forse a loro cinque anni saranno volati, a noi sono sembrati interminabili. Abbiamo riso alle spalle di molti di loro: eravamo sempre all'erta, pronte a catturare tutti i loro errori; in quarta tenevamo persino una cronaca in cui trascrivevamo con scrupolo tutte le loro gaffes. Ci divertivamo con poco.
La prof di inglese ci faceva studiare a memoria tutte le frasi della grammatica: ricordo pomeriggi domenicali passati su libri e dizionari. Si studiava a volte per il terrore. Alcuni professori riuscivano con un solo sguardo a procurarti un brivido lungo la colonna vertebrale che faceva tremare le gambe.
Di cose da imparare ce n'erano tante, troppe: e come vivevano i greci e come vivevano i romani, e tutta la letteratura, con alcuni libri che sembravano medicine cattive, non riuscivi a mandarli giù, ma che poi ci hanno fatto bene.
Anche alla fine abbiamo pianto tantissimo, davanti a una pizza e al nostro futuro.
Sentivamo, noi del Linguistico, che eravamo soltanto all'inizio di un percorso, che altri hanno continuato negli anni.
Tutto quello che ho vissuto è rimasto nel mio cuore e nel mio essere, le cose belle insieme a quelle brutte.
E come scrisse un giovane professore con la barba, nelle nostre vite (e sono passati ormai vent'anni) sta continuando a fiorire il seme di quegli anni indimenticabili.

1 commento:

  1. Anonimo3:29 PM

    Sono contenta che sul tuo blog ci sia posto anke per noi... Noi "piagnucolone" della sezione G classe 74...Maffeo Vegio. Via Carducci.
    Sono passati tanti anni e io non sono in quella foto ma guardandola mi sono venuti in mente tanti ricordi...ragazze giovani, studiose e allegre che si buttavano giù per un brutto voto. Quella scuola ci ha temprato come l'acciaio.
    Dopo un po' abbiamo smesso di piangere e siamo cresciute.
    Proprio l'altro giorno, mentre pulivo casa, mi è venuta in mente la frase "Labora aselle, quomodo ego laborabi, et proderit tibi!!!" : era il leitmotiv dell'anno in cui siamo state decimate... Questa frase ha segnato il nostro destino in quei cinque tremendi anni e ancora oggi, quando devo fare dei lavori particolarmente impegnativi o stressanti, mi balza davanti come il libro nero orribile (con annessa foto in bianco e nero raffigurante asinello maltrattato su un bassorilievo medievale) su cui era scritta.
    In fondo quella frase racchiude il senso della vita: faticare, sudare, arrivare. Tante volte mi chiedo: si arriverà mai a un miglioramento tale per cui finalmente potrò dire: BASTA. EGO LABORABI "ABBASTANZA". NO...
    Il divenire degli anni, la maternità, il lavoro quotidiano ti mettono continuamente il giogo e l'aratrino da conficcare nel terreno e trascinare. Fortunatamente con alcune soddisfazioni. E ho già il pensiero che tra due anni il mio piccolo dovrà andare a scuola e io lo dovrò aiutare ripercorrendo tutto il percorso già tracciato dal mio aratro.
    Cara Lory, spero che in questo mio piccolo ricordo tu riveda la compagna svampita e molto meno studiosa di te (che a te studiare veniva talmente naturale...mmmmghhh... come facevi!??!!!), sono quella che in vacanza studio a Colchester si è beccata la sciura col cappottino carta da zucchero e cappellino carta da zucchero che nessuno voleva (e facevate bene visto che mi nutriva con una specie di Ciappi nel pane), che era alzatrice della mitica squadra di pallavolo e che, facendo l'alzata della sua vita, non si era accorta che era il terzo passaggio ed è stata buttata fuori di botto e di brutto,sono quella che ha detto "Nel ciquecento, durante la peste, gli uomini morivano come funghi D'INVERNO" nonchè quella che fu tua vignettista ufficiale per l'oroscopo di Primaora... CHI SONO???!! Un bacio grande TVB

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