Leggo Shakespeare appena finito di scrivere. Quando ho la mente spalancata e arroventata. Allora è sorprendente. Non sapevo quanto fosse prodigiosa la sua tensione, la sua velocità, la sua padronanza delle parole finché non le ho sentite superare e battere in modo schiacciante le mie; sembra che partiamo alla pari e poi lo vedo scattare in avanti e fare cose che io non potrei mai immaginare neppure nella più folle esaltazione e tensione mentale. Perfino i drammi meno conosciuti sono scritti a un ritmo che supera la velocità massima di chiunque altro; e le parole piovono così rapide che non si arriva a raccoglierle. Sentite questa: «Upon a gather'd lily almost wither'd». (Mi è capitata sotto gli occhi per puro caso.) Evidentemente la scioltezza e l'agilità del suo spirito erano tali che egli poteva far rifulgere qualunque idea gli venisse in mente e lasciar cadere sbadatamente una pioggia di fiori inavvertiti come questo. Perché allora altri dovrebbero tentare di scrivere? Questo non è neppure «scrivere». In realtà potrei dire che Shakespeare è addirittura al di là della letteratura, se sapessi cosa intendo dire.
Virginia Woolf, Diario di una scrittrice. Domenica 13 aprile 1930.
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