Jaca! Jaca! I bambini si arrampicavano sugli alberi come tante scimmiette. La jaca cadeva - patapum - e loro si avventavano. Dopo poco rimaneva la buccia e le scorie che i maiali divoravano con piacere.I piedi larghi erano come quelli degli adulti, la pancia gonfia, enorme per la jaca e la terra che mangiavano. La faccia giallastra, di un pallore spettrale, denunciava spaventose malattie ereditarie. Poveri bambini gialli che correvano nell'oro del cacao, vestiti di stracci, gli occhi vitrei, mezzi scemi. La maggior parte di loro cominciava a lavorare a cinque anni. Restavano piccoli e rachitici fino ai dieci, dodici anni. All'improvviso diventavano uomini robusti e abbronzati. Smettevano di mangiare la terra ma continuavano a mangiare la jaca.
Scuola, un nome mai sentito. A che serve la scuola? A niente. Non insegna a lavorare nella piantagione e con le vasche. Qualcuno, una volta cresciuto, imparava a leggere. Facevano i conti sulle dita. Scuola di libertinaggio, quella sì, erano i campi con le pecore e le vacche. Il sesso si sviluppava presto. Quei bambini rachitici e gonfi avevano tre cose fuori dal comune: i piedi, la pancia e il sesso.
Conoscevano l'atto sessuale dalla nascita. I genitori si amavano sotto i loro occhi e molti di loro vedevano la madre cambiare molti mariti.
Fumavano grosse sigarette di tabacco trinciato e buttavano giù sorsate di acquavite fin dalla più tenera età. Imparavano a temere il coronel e il fattore, assimilavano l'amore-odio dei genitori per il cacao.
Ruzzavano nel fango con i maiali e chiedevano la benedizione a tutti. Avevano una vaga idea di Dio, un essere un po' come il coronel, che premiava i ricchi e castigava i poveri. Crescevano pieni di superstizioni e di ferite. Privi di religione, ritenevano il prete un nemico. L'odiavano spontaneamente, come odiavano i serpenti velenosi e i figli piccoli dei fazendeiros. Quando compivano dodici anni i braccianti li portavano a Pirangi, nei postriboli. Si prendevano lo scolo e diventavano uomini. Il loro salario passava da cinquecento a millecinquecento réis.
Jorge Amado, Cacao
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