venerdì 2 settembre 2005

Sedici. Nuovi mercati.


Ogni tanto parlo con i bambini. I bambini di oggi sono convinti che il pane si compri al supermercato, anzi no: alla Bennet.
Ripenso ai panettieri, svegli alle quattro di mattina a impastare i pochi ingredienti – acqua, farina, lievito, sale – che servono a creare con fantasia pagnotte piccole e grandi bianche e nere molli e dure e focacce e pizze e pasticcini. Alle vecchine, ai ragazzini e alle famiglie che li prendevano d’assalto per fare scorta per il fine settimana.
O al pane nero, che loro non conosceranno mai.
Oggi il pane si compra al supermercato. Già pronto insacchettato. Oppure dietro al bancone del pane, di fianco a quello dei salumi. In uno stesso posto si compra tutto. Si chiama super o iper mercato, ma non l’hanno inventato adesso. I primi supermercati sono lo sviluppo della bottega, della drogheria, ma a differenza del droghiere il supermercato vende tutto, e quando dico tutto è tutto, dai vestiti ai generi alimentari, dagli elettrodomestici ai libri, ai fiori. In realtà il supermercato è uno sviluppo misto tra il concetto di mercato e quello di bottega, solo che è più simile a quest’ultima, per due motivi: è al chiuso e, mentre l’idea di mercato suggerisce la possibilità di contrattare il prezzo degli oggetti, al supermercato tutto è deciso e non si discute. Ed è anche conveniente.
Il discorso è troppo lungo e probabilmente dove si risparmia su una cosa, ci si perde su un’altra, un po’ come le tariffe dei telefonini. Ma nel dubbio, l’italiano medio preferisce andare alla Bennet e trascorrere in questo modo parte del fine settimana, di solito il sabato. Il centro commerciale, del resto, è attrezzato per accoglierlo nel modo più divertente possibile: si risparmia tempo perché non c’è solo il supermercato dove già ci si può sbizzarrire a comprare tutto (anche quello che non serve), ci sono anche negozi veri e propri di vestiti, libri, videogiochi, giornali, gioielli, articoli per la casa, per gli animali, intimo, computer, occhiali, orologi, tappeti, c’è tutto il pensabile, l’immaginabile, il prevedibile. C’è anche lo spazio bambini con le palline colorate di plastica, l’animatore che gonfia il palloncino, la musica, i polli arrosto, la pizza, la coca e le patatine. E molte volte, si esce e c’è anche il cinema. Sempre tutto con la stessa luce artificiale.
Come il minatore, il frequentatore di centri commerciali non vede mai la luce del sole.
Così i cinema e i piccoli negozi di città chiudono e falliscono e sono sempre più incazzati e quando si organizzano le domeniche a piedi per l’inquinamento si incazzano ancora di più e dicono no, la domenica no, che è l’unico giorno in cui la gente fa il giretto in centro, facciamo il lunedì, ma tanto normalmente la città di lunedì è deserta e il blocco del traffico non serve a nulla. Il sindaco piega la testa e dice: va bene, poveri commercianti, facciamo il lunedì.
I piccoli negozi chiudono e al loro posto in centro mettono radici le banche, i negozi di scarpe e abbigliamento, abbigliamento e scarpe, come se la gente non avesse più bisogno di mangiare, o mangiassero soltanto i ricchi, che comprano nelle rosticcerie.

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